LA TROVATA
Nude (o quasi) contro il bavaglio
"Toglieteci tutto ma non il nostro quotidiano": tre varesine protestano indossando i giornali che il disegno di legge "salva-Sallusti" vuole mettere a tacere
Un'imprenditrice, una farmacista e persino una psicologa che si guadagna la pagnotta come personal shopper, ovvero quale consulente per gli acquisti.
Siamo a Varese, in un noto studio fotografico della città, dove le tre donne si sono date appuntamento per inscenare una protesta artistica. Posare cioè senz'altro velo che non siano i fogli dei quotidiani più letti.
"Il motivo della nostra protesta - spiegano le tre donne - sta nel pastrocchio normativo che tenta di smonatre il caso sollevato dalla controversa vicenda di Alessandro Sallusti con la scusa "politica" d'aggirare l'attuale legge penale per cancellare sì il carcere come pena per i giornalisti che diffamino ma anche, se non soprattutto, per intodurre una serie di pesantissimi obblighi, anche economici, che finirebbero, se approvati dalle Camere, per zittire la libertà di stampa".
Infatti, nel testo all'esame del Senato si discute dell'approvazione di vere e proprie misure coercitive senza contrappesi che potrebbero zittire non solo la stampa ma anche la libertà d'opinione, in particolar modo su Internet. Stando al disegno di legge, ogni persona che ritiene di essere vittima di diffamazione, potrà chiedere al giornale on line una rettifica, pretendendo la pubblicazione d'un testo e inserendovi qualsiasi contenuto purché non "suscettibile di incriminazione penale".
Si tratta, nella pratica, di una sorta di spazio auogestito da chi si ritenga colpito da diffamazione laddove neppure tale reato sia ancora accertato dagli organi competenti; inoltre se la rettifica non dovesse essere pubblicata, il presunto diffamato potrà chiedere la rimozione delle frasi per lui (e solo per lui) diffamatorie sia dai motori di ricerca sia dai giornali web senza alcunn accertamento giudiziario preliminare.
Se neppure tale richiesta dovvesse essere esaudita, l'offeso potrà andare dal giudice e chiedere un ordine di rimozione immediatamente efficace, accompagnato da una multa che può oscillare tra i cinquemila e i centomila euro anche se queste cifre non sono ancora state approvate.
"Non vogliamo - concludono le tre varesine - alcun bavaglio. Uno Stato democratico consente la libertà d'opinione, senza se e ma e tutelando chi viene diffamato innanzitutto con l'accertamento preliminare dell'avvenuta diffamazione. Altrimenti nessuno si prenderà più la briga di svolgere inchieste che spesso né politici, né magistrati si sognano di svolgere".
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