TESTIMONIANZA
Varese, odissea per un'ambulanza
La denuncia di una mamma a Prealpina: "Mio figlio, paralizzato, doveva essere riportato a casa dall'ospedale, tre ore di telefonate e attesa e 150 euro di spesa"

Un figlio completamente paralizzato, parla con gli occhi utilizzando un computer. Ha problemi fisici e di salute difficilmente immaginabili, ma è lucido. La vicenda è un dramma personale che ha però riflessi sulla collettività e può coinvolgere chiunque. Chiunque si trovi nella necessità di essere trasportato dall’ospedale a casa, in ambulanza. Un servizio che si paga e che in talune circostanze, come quella della signora Giglia Bocciardi, diventa una disavventura e una ricerca di aiuto che si è risolta soltanto grazie alla solidarietà di tanti cittadini che si trovavano al Circolo e si sono messi al cellulare, in piena notte, alla ricerca di una soluzione. La soluzione è arrivata da un servizio privato di ambulanze di Milano, costo 150 euro. E dopo una ricerca durata per almeno tre ore. E un figlio sulla barella, immobile e dolorante.
«Ecco qui, ho l’elenco delle ambulanze che ho chiamato e sono davvero molte - dice la mamma di Gianmaria -. Alla fine ho preso contatto con una società di Milano alla quale mi ero rivolta in passato, quando abitavo nel capoluogo lombardo». E il problema è stato risolto. Ma a costo di decine di telefonate, la mobilitazione intera degli accompagnatori e i pazienti del Pronto soccorso.
In ospedale, per legge e normativa, non è possibile per il personale contattare direttamente le ambulanze. E questo perché il servizio di trasporto non in urgenza è a pagamento. L’ospedale fornisce però una serie di numeri telefonici a chi li richiede. «Il problema dell’assenza di ambulanze a disposizione non dovrebbe mai accadere, in particolare per certi pazienti», dice la mamma di Gianmaria. Il giovane è finito in ospedale per la sostituzione di un catetere sovrapubico «poi sostituto in realtà il giorno successivo, con ritorno al Pronto soccorso, non senza peripezie», dice la donna. Ma questo è un altro problema. Quello dell’assenza o del risicato numero di ambulanze per i trasporti cosiddetti secondari, “a gettone”, è un dato di fatto.
In provincia operano, in prevalenza Cri e Anpas (che riunisce nove associazioni) alle quale si aggiunge la Croce Bianca di Legnano. Croce Rossa ha un numero che è più o meno il doppio delle ambulanze rispetto alla seconda. «Il problema non è il numero di ambulanze ma quello degli equipaggi che puoi avere in servizio», dice una fonte autorevole del settore. Il servizio “a gettone”, cioè il trasporto non in emergenza per l’ospedale o da un ambulatorio a casa, non riguarda il “118” regionale.
Qualche operatore ricorda che da quando i contratti con il 118 sono stati estesi e modificati, ambulanze “libere” ve ne sono sempre di meno. Il servizio a gettone è quasi sempre e per tutte le associazioni lasciato ai volontari, in particolare la notte. E la notte non sempre vi è qualcuno disponibile, soprattutto in agosto (la vicenda si è consumata tra il 16 e il 17). Dalla sede Cri di Varese - il paziente della Valceresio è conosciuto ed è stato trasportato più volte - , il presidente Angelino Bianchi, commenta: «Abbiamo eseguito 962 trasporti secondari, cioè di dimissioni e non solo, da gennaio a oggi. Il servizio, per quanto ci riguarda, è sulle spalle dei volontari, la situazione, ne siamo consapevoli, è drammatica ed è difficile in tutta la Regione e dalla Regione sarebbe necessario un intervento di regolamentazione». Per i trasporti in ambulanza collegati al servizio sanitario, si applicano tariffe standard. Non sempre ritenute convenienti dalle associazioni. Un problema da risolvere.
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