OLTRE
La storia col profumo dei libri

Una macchina per la stampa a caldo prodotta a Lipsia e acquistata nel 1911. Una pressa del 1828 che è una delle ultime ad aver mantenuto nella costruzione lo stile settecentesco in legno decorato, seppur con un’innovazione tecnica. E a casa anche un fermacarte da tavolo di lavorazione futurista, un Leone di San Marco dono di D’Annunzio al nonno. Ma anche il ricordo di quelle colazioni nella storica pasticceria Marchesi, che hanno fatto innamorare Isacco Marchesi e Giuseppina Conti Borbone Benenti. C’è il profumo della storia, anzi, no, di tante storie, ma anche della Storia con la S maiuscola nella legatoria Conti Borbone, una bottega storica del libro, la più antica legatoria di Milano.
Ad attestarne l’esistenza fin dal 1874 c’è un documento, sottolineano Gianluca e Gabriele Marchesi, che con il fratello Angelo hanno raccolto il timone degli avi in legatoria: è di una associazione di Mutuo Soccorso dei librai, cartolai e legatori di libri di Milano. Ma senz’altro c’era già negli anni Cinquanta dell’Ottocento, creata da Domenico Conti Borbone in quella che si chiamava via dei Ratti, oggi via Cesare Cantù, vicino alla Biblioteca Ambrosiana. Uno stradario del 1886 attesta la legatoria proprio in via dei Ratti, in seguito si è spostata in via Santa Maria alla Porta e, nel 1919, nell’attuale sede di via Terraggio.
«Quella di Domenico Conti Borbone - spiega Gianluca Marchesi - era nata come legatoria d’arte. Mio nonno, invece, aveva la visione che questo mestiere andasse divulgato anche a classi meno abbienti e con lui iniziarono non solo le legature di lusso, ma anche di altri tipi. Oggi noi ci occupiamo di legatoria a 360 gradi, da quella extralusso al semplice vocabolario in tela o alla riparazione di copertine di vecchi libri, fino alla marmorizzazione delle carte. Ma ci siamo anche ampliati al mondo dell’arredamento, sviluppato soprattutto a partire dagli anni Sessanta e Settanta anche con architetti importanti, per lavori importanti in moltissime case patrizie. Fin da piccolo mio padre mi mandava a imparare il mestiere, ma anche a imparare il gusto del bello che c’era in queste case». Sedie particolari, oggetti, rivestimenti di tavoli, scrivanie poi stampate in argento, oro o a secco a seconda dello stile. E oltre a questi oggetti, ecco anche pareti con finti libri, o rilegature «ad personam».
«Per quello che riguarda la tipologia - ammette Gianluca Marchesi - per un lavoro come il nostro è veramente dura in questo momento. Ma lavoriamo molto con l’estero». Negli spazi di via Terraggio, oltre alla macchina acquistata nel 1919 su cui si legge la scritta in stile gotico «Aug. Fomm 21247 Leipzig» e che da allora va avanti ininterrottamente per la stampa a caldo, anche un torchio del 1828, usato fino agli anni Novanta, che è stato chiesto anche da importanti musei, ma che il papà dei tre fratelli Marchesi, anche lui si chiamava Angelo, non ha mai voluto vendere. E ancora, accanto all’innovazione, una collezione di punzoni, fregi, planche, cliché. Anche quelli della copertina delle Treccani, di cui hanno licenza fin dai tempi del nonno.
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