SANREMO
«Pensare che ero un cestista»
Dall’ABC Varese al Festival, si racconta il Maestro gallaratese Luca Chiaravalli: l’anno scorso vinse con gli Stadio, ora ci riprova con Gabbani e Paola Turci

A volte il caso ti mette di fronte a delle scelte: «ti rendi conto che la vita è un soffio ed è allora che decidi di fare quello che ti piace». Questa riflessione arriva da Luca Chiaravalli, uno dei personaggi varesini più interessanti di Sanremo 2017. Classe 1971, due metri e 10 di altezza, gallaratese: Chiaravalli al Festival dirige l’orchestra, scrive, arrangia. Ha co-firmato il brano di Paola Turci, quello di Francesco Gabbani e infine la canzone di Raige e Giulia Luzi. La sua carriera è ricca di soddisfazioni e di collaborazioni con star italiane e internazionali (Nek, Francesco Renga, Eros Ramazzotti, e ancora Giorgia, Laura Pausini, Hooverphonic solo per citarne alcune). Molto felice per il secondo posto di Paola Turci nella serata delle cover di giovedì (dove l’artista ha interpretato “Un’emozione da poco”), dispiaciuto per l’uscita di Raige e Luzi («è una canzone poco sanremese, diversa dal solito: ma è molto bella da sentire in radio»).
Quando si è avvicinato alla musica?
«A 9 anni ho iniziato a suonare il pianoforte al Conservatorio Puccini di Gallarate, anche se non mi sono diplomato. Cantavo anche in diverse band, mi esibivo a Varese e provincia. Da ragazzino ero già altissimo e così dai 12 ai 15 anni ho giocato a basket, ero piuttosto bravo, giocavo anche nell’ABC Varese. Poi però ho subìto alcuni interventi chirurgici al cuore (in totale ho fatto 5 operazioni a cuore aperto) e al secondo intervento ho perso la voce. Così ho avuto un doppio stop: niente più basket né canto. Credo che ci sia un disegno: la vita mi ha indirizzato verso quello che sapevo fare meglio».
E così è tornato alla musica?
«Sì, ho capito che volevo fare quello nella vita. Non sono uno che si piange addosso, ma il messaggio è questo: si impara a vivere intensamente. Tornando al mio percorso, mi son detto che non volevo fare le cose degli altri. Così sono diventato compositore, arrangiatore, autore. Il primo pezzo è stato per Eros Ramazzotti nel disco “Stilelibero”, un album che ha venduto 6 milioni di copie. Gliel’ho mandato e gli è piaciuto. Alla fine basta scrivere canzoni che funzionano».
A proposito, come si scrive un brano?
«È un cross-over, a volte si parte da una base e si va ad aggiungere elementi, altre volte ancora da una melodia oppure da un’idea di testo. Facendo l’esempio di un pezzo in gara quest’anno, “Occidentali’s Karma” di Francesco Gabbani (scritta da me, Fabio Ilacqua e i due fratelli Gabbani) sono stato più “sloganista”: le frasi “lezioni di Nirvana- c’è il Buddha in fila indiana” le ho pensate io. Anche “L’amore mi perseguita” (duetto di Giusy Ferreri e Federico Zampaglione dei Tiromancino ha una mia idea di testo: mi piaceva pensare all’amore che ti insegue anche quando non lo vuoi».
Adesso con chi sta lavorando?
«Stiamo finendo il disco di Paola Turci che uscirà il 31 marzo. Inoltre stiamo lavorando a quello di Francesco Gabbani, che sarà pubblicato a primavera».
E com’è dirigere l’orchestra di Sanremo?
«Al Festival c’è più un approccio produttivo alla direzione, a me piace dare energia. Io uso le braccia e le mani, non la bacchetta. Preferisco un recupero “filo-storico” della direzione: all’inizio si usavano soltanto le mani, la bacchetta è arrivata con l’aumento del numero degli orchestrali, dai 60 elementi in su. Il lavoro con l’orchestra è propedeutico, ci vuole molta tecnica. Un segreto importante è avere tutta la partitura in testa».
© Riproduzione Riservata