PICCOLOMO
«Nel sangue di Marisa tracce di un tranquillante»
La testimonianza della tossicologa: è Lorazepam e la donna non lo usava. La perizia sull’incidente: «Nessun ribaltamento»

Il giorno in cui morì in uno strano incidente stradale, nel febbraio 2003, Marisa Maldera aveva assunto del Lorazepam, un farmaco della categoria delle benzodiazepine che «induce il sonno».
E si trattò di «un’assunzione occasionale in concomitanza con l’evento morte», dato che nel suo sangue, conservato per anni nei frigoriferi della Medicina legale di Varese, il Lorazepam risulta «in quantità non dosabile, sotto il livello terapeutico».
Testimonianza importante, venerdì 12 nell’aula bunker del Tribunale di Varese, al processo che vede il “killer delle mani mozzate” Giuseppe Piccolomo accusato anche dell’omicidio della prima moglie, Marisa Maldera appunto.
Il rappresentante della pubblica accusa, il sostituto procuratore generale Maria Grazia Omboni, ha chiamato infatti a testimoniare, davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato (a latere Stefano Colombo), un suo consulente, la tossicologa forense Cristiana Stramesi, che ha analizzato sangue e urina della vittima, conservati dopo l’autopsia. E la specialista ha riferito che nel sangue ci sono appunto Lorazepam e anche carbossiemoglobina al 35 per cento (dato che non stupisce visto che dipende dall’inalazione di fumo e la donna morì nel rogo dell’auto finita fuori strada, mentre il marito non si fece nulla).
Nessuna traccia del tranquillante, invece, nell’urina, a prova del fatto che la vittima «non l’aveva preso nei giorni precedenti» e quindi non lo assumeva sulla base di un percorso terapeutico disposto da un medico.
Grazie a qualche goccia di Lorazepam il marito stordì quindi Marisa così che non potesse reagire mentre dava fuoco all’auto? Rispetto all’ipotesi dell’accusa, alla consulente non è stato chiesto chiaramente nulla. E anche il tentativo del difensore di Piccolomo, l’avvocato Stefano Bruno, di “sfruttare” la presenza di caffeina nel sangue di Marisa, non ha ottenuto risultati. «Aver bevuto caffè avrebbe potuto ridurre gli effetti sedativi del Lorazepam?», ha chiesto infatti il legale. Ma la risposta della tossicologa forense è stata netta: «La caffeina non contrasta gli effetti del farmaco e anzi il caffè è spesso usato per la somministrazione delle gocce, perché permette di non sentirne il sapore amaro».
Altro teste importante di giornata, l’ingegner Domenico Romaniello, incaricato invece dalla Procura generale di Milano, che ha avocato le indagini, di una perizia cinematica sul presunto incidente avvenuto nella notte tra il 19 e il 20 febbraio 2003. Anche in questo caso conclusioni di grande interesse. L’ingegnere ha ipotizzato due punti di uscita dalla sede stradale dell’auto con Giuseppe alla guida e Marisa come passeggera, e sulla base della posizione finale della vettura, del dislivello tra strada e campo, e della natura del terreno di quest’ultimo, ha fornito alla Corte diverse «certezze» scientifiche. La prima: in caso di incidente la Volvo di Pippo doveva viaggiare a una velocità compresa tra i 76 e i 94 chilometri orari. La seconda: uscendo di strada l’auto doveva per forza ribaltarsi. La terza: la Volvo non ha danni da ribaltamento. La tesi dell’incidente, insomma, vacilla.
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