MORTE DI MARISA MALDERA
Un altro ergastolo a Piccolomo
Giudici in Camera di consiglio per poco più di un’ora: l’imputato riconosciuto colpevole della morte della prima moglie, avvenuta nel 2003. Risarcite le due figlie
Giuseppe Piccolomo uccise la moglie Marisa Maldera nel febbraio 2003: per questo reato l’imputato (già condannato al carcere a vita per il “delitto delle mani mozzate”, l’uccisione della pensionata Carla Molinari a Cocquio Trevisago) si è visto infliggere l’ergastolo.
La Corte d’Assise di Varese presieduta da Orazio Muscato (a latere Stefano Colombo), ha impiegato poco più di un’ora ad emettere la sentenza, dopo che in apertura dell’udienza le parti avevano rinunciato alle controrepliche. Alle 12.15 l’imputato, scortato in aula dagli agenti della Polizia penitenziaria, ha ascoltato la sentenza che gli infligge appunto il secondo ergastolo a sedici anni da una morte che, all’epoca, era stata considerata un incidente.
Nei giorni scorsi il difensore di Piccolomo, l’avvocato Stefano Bruno, aveva depositato una memoria con la quale chiedeva ai giudici togati e popolari di riconsiderare ancora una volta la questione del “ne bis in idem”, il principio giuridico per il quale non si può essere processati due volte «per il medesimo fatto». Per la morte della moglie (la donna morì nel rogo della Volvo di famiglia guidata dal marito e finita fuori dalla carreggiata) Piccolomo più di dieci anni fa aveva infatti patteggiato l’applicazione di una pena pari a un anno e quattro mesi di carcere per omicidio colposo. E per questo, secondo il suo difensore, l’attuale processo non doveva nemmeno cominciare.
Ma la Corte ha smentito questa ipotesi.
La condanna di Piccolomo rappresenta un successo per le due figlie del “killer delle mani mozzate”, Tina e Cinzia, che da anni parlavano del padre come di un uomo violento e lo accusavano apertamente di aver ucciso la madre. La sentenza ha disposto per entrambe il risarcimento, da quantificarsi con separato giudizio civile, con una provvisionale immediatamente esecutiva di 50.000 euro a testa. «La mamma ha finalmente avuto giustizia, ora possiamo ricominciare a vivere», hanno dichiarato le due donne, visibilmente commosse, poco dopo la lettura della sentenza.
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