L’INTERVISTA
Pnrr, Tria: «Dovevamo essere più prudenti»
L’ex ministro spiega perché è stato un errore prendere tutti quei fondi europei

L’Italia è stata vorace. Ha voluto chiedere tutti i fondi possibili al Next Generation Eu, ha avuto molto più denaro di tutti gli altri Paesi europei e ora non è più sicura di sapere come spenderli. Da qui, il dibattito politico degli ultimi giorni che ha ipotizzato anche la possibilità di rinunciare ai fondi.
A Giovanni Tria, docente universitario ed ex ministro dell’Economia, abbiamo chiesto di spiegare in parole semplici che cosa è accaduto, che cosa sta accadendo e che cosa potrebbe accadere al Pnrr, cioè al Piano nazionale di ripresa e resilienza. E quindi al futuro dell’Italia. La sua posizione, è chiara: «L’Italia avrebbe dovuto essere più prudente, all’inizio, e ora dovrebbe andare nella direzione di rinegoziare con la Commissione Europea una rimodulazione del Piano e della tempistica».
Spiega l’ex ministro Tria: «L’Italia ha avuto nel pacchetto di questi fondi complessivi europei la quota maggiore, circa 200 miliardi di euro, perché l’Italia è un Paese grande, colpito duramente dalle pandemia e con problemi economici e di debito preesistenti. La ripartizione tra Paesi è avvenuta sulla base di indicatori oggettivi».
L’Italia ha compiuto un errore, secondo lei, a prendere tutti questi soldi?
«Tutti questi fondi a disposizione, non dovevamo per forza prenderli. La maggior parte dei Paesi europei, tranne alcuni piccoli, ha deciso di usufruire soltanto della parte a fondo perduto ma non di prestiti, l’Italia ha deciso di prendere tutto. Era ed è una scelta discutibile, perché bisognava fare dei piani ed essere capaci di spendere circa 200 miliardi in modo corretto e in un periodo limitato».
Che cosa significa spendere i fondi in modo corretto?
«Con un rendimento economico, fare investimenti utili nei vari settori. Quando è stato deciso di prendere tutti questi fondi il Piano non era ancora pronto. Fin dall’inizio era chiaro che era quasi impossibile spendere tutti questi soldi in modo corretto, in modo veramente utile, su progetti seri e ben coordinati, perché da una parte c’è la pubblica amministrazione che deve organizzare tutto e fare gli appalti, dall’altra c’è il settore privato che poi deve produrre».
C’è stata anche discussione politica sui fondi prestati e quelli a fondo perduto, ci vuole spiegare di che cosa si tratta?
«Una parte dei fondi del Next Generation Eu assegnati all’Italia è definita a fondo perduto ma credo che sia una definizione impropria perché si tratta comunque di debito europeo e quindi ricade su tutta l’Europa. Questo debito non deve essere rimborsato tutto dall’Italia, anzi non è ancora ben chiaro come avverrà, ma per la sua quota pagherà anche l’Italia. Anche se la ripartizione non sarà corrispondente alla quota di fondi che l’Italia riceverà, si tratta comunque di una quota molto alta».
C’è poi la quota di prestito, dei fondi, che cosa comportano?
«Si tratta di prestiti a condizioni vantaggiose come tassi di interesse e che devono essere restituiti a lungo termine, però sono debito aggiuntivo per l’Italia, vanno restituiti, non subito e a condizioni di favore».
Perché è così difficile portare avanti i progetti e spendere i soldi a disposizione?
«Il Pnrr è formato da una serie di impegni e di varie riforme e investimenti. Più si va avanti più si manifestano difficoltà perché le riforme devono essere decise in Parlamento ma poi quando si va a spendere per gli investimenti bisogna avere i progetti ben fatti, bisogna fare gli appalti e ci devono essere strutture produttive in grado di rispondere in tempi brevi alle esigenze. Queste difficoltà si sommano a quelle di spendere secondo i ritmi concordati con la Commissione Europea».
La polemica e il dibattito politico sono aperti: c’è chi dice “rinunciamo” ai fondi. Che cosa ne pensa?
«La questione centrale è di contrattare , negoziare con la Commissione una rimodulazione del Piano in modo di cercare di rinunciare ai progetti non fattibili nei tempi previsti, o perché magari sono progetti non più utili, per fare altri investimenti. Bisogna rinegoziare la tempistica, per poter fare investimenti in tempi più lunghi e per fare meglio i progetti, consentendo così alle imprese di fare fronte a ciò che si chiede loro. Forse all’inizio ci si poteva pensare meglio non c’era bisogno di prendere tutte le risorse messe a disposizione, era infatti possibile prenderne una parte e successivamente prenderne altre, in modo che potessimo considerare bene in che modo organizzarci e quindi realizzare investimenti programmati».
Professore, la vicenda Pnrr che conseguenze avrà?
«L’importanza del programma Next Generation Eu era che per la prima volta l’Europa aveva accettato di fare un debito europeo, un debito comune per finanziare interventi e investimenti di tipo strutturale nei vari Paesi ed era un grande passo avanti nell’integrazione europea, più unita e solidale. Ritengo che questa cosa fosse e sia ben più importante dell’aver ottenuto 200 miliardi per l’Italia per investimenti da spendere nei successivi 5 anni. Per non danneggiare questa novità di poter fare debito, comunque nell’interesse dell’economia dei singoli Paesi ma dell’Europa nel suo complesso, bisognava essere prudenti. L’esperimento doveva riuscire e perché riesca ancora bisogna mettere in campo tutti gli sforzi possibili per evitare di danneggiare l’idea di un’Europa pronta a unirsi in debito comune per fare investimenti. Si può benissimo negoziare e la Commissione Europea sembra aperta alla discussione per rimodulare il Piano».
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