LA RIEVOCAZIONE
Quando la Storia "brucia"
Nel 1520 a Venegono Superiore sei presunte streghe furono arse vive davanti alla chiesa di Santa Maria. Domenica 7 ottobre torneranno a vivere nello stesso luogo

Nel 1520, a Venegono Superiore, sei donne accusate di stregoneria furono arse vive sul Monte Rosso dopo aver subito feroci torture da parte degli inquistori dell’Ordine domenicano. Una settima morì durante gli interrogatori e il suo corpo fu dissepolto e bruciato.
Dopo 492 anni, quei fatti verranno ricordati domenica 7 ottobre nel corso di una lettura teatrale davanti alla chiesa di Santa Maria, dove tutto iniziò.
L’associazione "Luoghi Eventuali", che ha promosso l’iniziativa, vorrebbe mettere un cippo che ricordi i nomi delle povere vittime. Ma il parroco del paese si irrigidisce: «Sarebbe meglio dedicarsi ad altro».
Le streghe fanno ancora paura?
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Nella vera storia delle sette streghe di Venegono Superiore, il diavolo ci ha messo la coda almeno due volte.
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Il 3 giugno 1788, nel cortile della basilica di Santa Maria delle Grazie, bruciò tutto l'archivio dell'Inquisizione dello Stato di Milano. Un rogo voluto dalle autorità religiose che cancellò gli atti notarili di secoli di persecuzioni: i nomi delle persone processate e arse vive, i nomi dei delatori, quelli degli inquisitori, le procedure di tortura usate per estorcere le confessioni. Ma per un caso diabolico, appunto, un faldoncino di 108 fogli sfuggì alla montagna di carte e finì nell'Archivio di Stato dove rimase sepolto altri due secoli.
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La seconda volta fu sul finire degli anni '90 del 1900 mentre la ricercatrice Anna Marcaccioli Castiglioni stava compiendo alcuni studi proprio nell'Archivio di Stato di Milano. Per un altro caso "diabolico" fu attratta da un fascicolo rilegato, con copertina di cartoncino grigio sulla quale campeggiava la scritta Processus Strigiarum.
Se, come si dice, la pazienza è la virtù dei morti, le sette donne di Venegono Superiore, accusate di stregoneria e mandate al rogo, hanno pazientato quasi cinquecento anni. Ma alla fine la loro vicenda è riemersa dalla polvere, trascritta dalla stessa Marcaccioli Castiglioni nel libro Streghe e roghi nel Ducato di Milano (Thélema Edizioni) curata e prefata dal professor Fabio Minazzi, docente di filosofia all'Insubria.
Era il 1999. Sono passati altri tredici anni e quella vicenda rivivrà domenica 7 ottobre a Venegono Superiore, sotto forma di lettura teatrale, davanti alla chiesa di Santa Maria dove il 20 marzo 1520 tutto iniziò.
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L'operazione è promossa dall'associazione culturale "Luoghi Eventuali" diretta da Tito Tosi già sindaco di Venegono negli anni '80.
Sul palcoscenico, allestito sotto i portici dell'ex caserma Castiglioni, proprio di fronte alla chiesetta di Santa Maria, saliranno una ventina di attori non professionisti che daranno voce a personaggi che in parte la storia con la "S" maiuscola ha immortalato (come il conte Fioramondo Castiglioni) e altri che nemmeno la memoria minuta dei luoghi ricorda più. E' il caso delle donne, tutte di Venegono, che furono accusate di intrattenere rapporti intimi col demonio e che in suo nome avrebbero abiurato la fede cattolica e compiuto un rosario di malefici letali a persone e animali.
Tito Tosi, appassionato di storia locale, ha impiegato tre mesi per organizzare i testi degli interrogatori: «Non abbiamo cambiato nulla perché alcuni dei cognomi sono ancora riconoscibili, come riconoscibili sono i luoghi dove i fatti avvennero. Oltre alla chiesetta e alla località Pianasca dove si sarebbero svolti i sabba, il castello che funzionò da aula di tribunale e sala torture e il Monte Rosso dove le donne vennero bruciate vive».
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Proprio il Monte Rosso («al centro della terra di Venegono» è scritto negli atti dell'Inquisizione), divenuto zona residenziale punteggiato da ville signorili, è al centro di una seconda iniziativa che l'associazione lancerà domenica 7 ottobre: «Ci piacerebbe - dice Tosi - che venisse posto un cippo con iscritti i nomi delle donne che vi trovarono la morte».
Non si sa ancora quale accoglienza troverà quest'idea, ma già spunta il filo sottile di una polemica. Il parroco del paese, don Maurizio Villa, già informato sulla rappresentazione teatrale, si irrigidisce quando sente parlare del cippo: «Non ne sapevo nulla - dice -. Bisognerebbe avere tempo per approfondire e capire meglio chi erano queste donne. Ma ci sarebbero molte altre cose da ricordare. Quella vicenda va contestualizzata: da allora la Chiesa è cambiata».
E poi c'è il Comune che ha sì dato il patrocinio all'iniziativa teatrale: «Ma non ha messo un euro - precisa Tosi -. Era disposto a stampare i volantini, rigorosamente in bianco e nero. Allora ce li siamo fatti da soli a colori».
Anche se il bianco e nero non era una cattiva idea: sono i colori che dominano il Processus Strigiarum di Venegono: bianche e nere le tonache dei due frati domenicani che si alternarono come inquisitori; nere le notti nelle quali le "streghe" avrebbero operato i malefici, entrando nelle case delle loro vittime attraverso porte chiuse o piccoli spiragli «Tamquam ventus» («come fa il vento»), confessa una di loro, Caterina Fornasari. E d'altronde così voleva la «voce pubblica» riportata da tre delatori «sotto giuramento» («che sono streghe, malefiche e donne di malaffare», trascrive il notaio).
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Ci sono altre parole che aleggiano su questa storia: quelle scritte sul manuale degli inquisitori, il Malleus Maleficarum, ("Martello delle Streghe", appunto) che conteneva il repertorio completo dei comportamenti stregoneschi che gli inquisitori cercavano con ostinazione negli interrogatori. E sorprende come le accusate quasi d'impeto, e ancor prima di essere torturate, confessassero quei comportamenti, quasi conoscessero a memoria la parte loro assegnata. Ma ciò non bastava: una confessione spontanea poteva nascondere molto altro di non detto. E allora si rendeva necessaria la tortura che puntualmente aveva l'effetto di moltiplicare gli episodi e le chiamate di correo. Anche perché alle streghe ree confesse il primo inquisitore, frate Battista da Pavia, prometteva salvezza. Ma il Malleus prevedeva che a un primo inquisitore ne subentrasse un secondo che, non essendo vincolato da promessa alcuna, potesse, con coscienza pulita, decretare la condanna al rogo. E chi non confessava, nemmeno sotto tortura, era ancor più certamente colpevole: l'ineffabile Malleus avvertiva infatti: «Ci sono gli stregati che, per effetto dei sortilegi usati sotto la tortura, diventano quasi insensibili: costoro morirebbero piuttosto che confessare».
E anche a Venegono ciò accadde con Elisabetta Oleari che mai ammise di essere una strega. Per giorni la poveretta verrà legata con le mani dietro la schiena e sollevata da terra, prima lentamente, poi con forti scossoni (lo "squasso"); sollevata ancora per un solo braccio, con dei pesi agganciati alle caviglie; le verrà infine versato aceto nelle narici. Alla fine verrà giudicata «impenitente pervicace».
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La sentenza fu emessa l'8 giugno 1520, firmata da frate Michele d'Aragona, professore in sacra teologia, che dettò al notaio: «Noi, seguendo i comandamenti e la strada divina segnata da nostro Signore Gesù Cristo che non vuole la morte del peccatore, ma la sua vita e conversione, e, da Buon Pastore che ricerca la centesima pecora che si è smarrita, venuto in questa valle di miserie e di delitti umani, ci siamo sforzati in tutte le maniere possibili di ricondurre all'unione con la Chiesa e in grembo alla fede cattolica le predette sette eretiche e streghe (...) le donne furono trovate incorreggibili e impenitenti, dolose e maliziose, molto false solo per evitare la pena di morte».
Il processo era durato poco meno di tre mesi; una delle sette accusate, la più anziana, era morta subito dopo il primo interrogatorio.
Sei vennero arse vive «senza alcuno indugio (...) nell'apposito luogo sul Monte Rosso (...) rivestite di gabbana»; il cadavere della settima fu dissepolto e bruciato: «I cadaveri degli eretici che muoiono impenitenti devono essere dissepolti perché si possano tenere separate le loro ossa da quelle dei fedeli e vengano bruciate e non possano in perpetuo godere di sepoltura in terra consacrata (...) e il di lei nome in perpetuo sia cancellato da quello dei fedeli».
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Domenica 7 ottobre le "streghe" di Venegono Superiore bruceranno ancora su una pira fatta di gesti teatrali e parole che ridaranno loro nome e dignità di persone. Anche la Storia, a volte, sa fare giustizia.
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