IL CASO SIDELLA
Casa distrutta, nessun colpevole
Ventuno mesi dopo l’esplosione in via Brianza il giudice archivia

L’ultima parola sull’ecatombe di Pasqua è stata pronunciata dal gip Nicoletta Guerrero nei giorni scorsi: il fascicolo aperto per strage nei confronti di Saverio Sidella - morto dopo diciotto giorni di agonia - e della moglie Maria Cristina Segreto è stato archiviato definitivamente.
Respinta quindi l’opposizione presentata dall’avvocato Fabio Lucchesi che ipotizzava la responsabilità di soggetti rimasti ignoti a seguito di indagini che avrebbero meritato un raggio d’azione più ampio.
La fuga di gas del 31 marzo 2018, che fece scoppiare e sbriciolare la palazzina lasciando per strada le famiglie che la abitavano, fu innescata dal sergente maggiore della Ugo Mara.
Se fosse sopravvissuto, a processo oggi ci sarebbe lui. «Non sono stati raccolti elementi per ritenere la partecipazione della indagata Segreto all’azione che determinò - per come descritta dalla procura sulla base degli esiti delle consulenze tecniche - lo scoppio della palazzina di Rescaldina», si legge nel provvedimento del giudice.
«Non vi è alcun elemento per ritenere che la dinamica dell’evento possa essere stata diversa da quella ricostruita dalla procura che rimane comunque titolare dell’azione penale e che non ha ritenuto di dover proseguire le indagini ritenute esaurienti ed esaustive alla luce delle citate emergenze tecniche».
Il giudice Guerrero sottolinea: «Nessuna diversa responsabilità è prospettabile di tal che è chiaro che la opposizione sia strumentale all’ottenimento da terzi (non meglio identificati) di un risarcimento del danno che allo stato non spetta e che deve essere recisamente escluso».
L’avvocato Lucchese, difensore dei genitori del militare, Agostino Sidella e Giuseppina Bartolone, auspicava un’imputazione coatta di un misterioso personaggio che, entrando nell’appartamento della famiglia Sidella, avrebbe svitato il tubo del gas per ragioni che gli inquirenti, a parere del legale, avrebbero dovuto sondare. Ma gli inquirenti, oltre a individuare le cause tecniche della deflagrazione che scombussolò la serenità rescaldinese del sabato santo, ricostruì anche il movente dietro al folle gesto del militare: le difficoltà economiche.
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Non sapeva più come uscirne, non si era mai neppure confidato con nessuno. E quella mattina, in preda alla disperazione, pensò bene di fare come Sansone, cercare riscatto nell’autodistruzione. Ma a rimetterci furono in tanti, a partire dai suoi cari.
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