SUL PALCO
«Riunire i Pooh? Io ci sto»
Dodi Battaglia in concerto venerdì a Varese, poi a Sanremo. Si racconta a Diego Pisati

Prima di Varese c’è Sanremo e prima della reunion dei Pooh ci sono le sue chitarre. Almeno per Dodi Battaglia che venerdì 3 febbraio, alle 21, sarà in concerto al Teatro di Varese. Robi Facchinetti e Red Canzian li rivedrà invece il 6, all’Ariston.
Lo spettacolo si intitola Nelle mie corde - Canzoni & Sorrisi, vedremo le chitarre del libro Le mie 60 compagne di viaggio?
«Mi sarebbe piaciuto ma avrebbero riempito troppo il palco. Ho dovuto portarne in tour soltanto venti. Naturalmente tra quelle rimaste a casa non figura la mia preferita, una Gibson del 1954 acquistata a New York City nel 1972».
Ogni chitarra una canzone?
«Di più, ogni chitarra un pezzo di storia, mia, dei Pooh, del Paese e del suono che nel tempo è cambiato molto, adeguandosi alle nuove tecniche, alle tendenze e ai gusti».
Restringendo sempre di più gli spazi degli assolo: un problema per virtuosi dello strumento come lei?
«Non nascondo di provare nostalgia per gli Anni Settanta ma ho sempre cercando di difendermi anche quando c’è la stata la svolta nella percezione della musica accompagnata dall’invito esplicito ad andare subito al sodo. Esempio? Nelle mie corde gli assolo ci sono eccome, mi prendo qualche libertà perché sul palco sono io, le mie chitarre e Eleonora Lombardo, attrice e cantante, con cui duetto nel travolgente finale».
La regia è di Fausto Brizzi, non proprio l’ultimo arrivato...
«Me l’ha consigliato un amico che era al corrente della sua passione per i Pooh e per la musica. Lo reputo un incontro fortunato».
In scaletta, oltre che tanti brani dei Pooh, figurano pezzi di Hendrix, richiamato esplicitamente dalla foto di copertina dello suo album Inno alla musica. È vero che lei ha aperto un concerto di Jimi?
«Incredibile ma vero e ancor più incredibile che il pubblico o lo stesso Hendrix non mi abbiano menato di brutto anche perché ho avuto la sfacciataggine di suonare uno dei suoi capolavori, Foxy Lady. Eravamo nella mia Bologna, avevo sedici anni e facevo parte dei Meteors, un complesso cittadino formato da ottimi musicisti che prima del mio ingresso aveva fatto da spalla a Gianni Morandi».
Riservato, silenzioso, la si definirebbe un bolognese atipico. Anche nel rapporto con il calcio e il basket?
«Mi hanno cucito addosso questa etichetta ma sbagliano. Rivendico la patente di bolognese pronto alla battuta. In quanto alle squadre di calcio e pallacanestro, essendo di Bologna, seguo con simpatia il loro cammino e ho in particolare un ricordo felice dello spareggio vinto con l’Inter, che ci valse lo scudetto nel 1964. Il mio vero secondo amore resta però il mondo dei motori, che ho vissuto e vivo non solo da spettatore».
Perché i Pooh hanno detto sì a Sanremo?
«Perché ce lo ha chiesto, e non si tratta della prima volta, un amico di nome Amedeus e perché abbiamo pensato che il Festival della canzone italiana è la manifestazione più adatta per rendere omaggio a Stefano D’Orazio».
Il 6 sarete all’Ariston per ricordare Stefano e il 20 al Lirico di Milano per un tributo a Valerio Negrini. Due date in pochi giorni, c’è aria di reunion a tutti gli effetti?
«Non c’è giorno in cui uno di noi non incontri qualcuno che invita a rimetterci insieme. Non è un mistero che, usando un eufemismo, io non fossi il principale sostenitore della necessità di scioglierci. Ricostituire i Pooh dopo un pensiero dedicato al grande Stefano e a quel genio mite di Valerio avrebbe il significato forte di una famiglia ritrovata. Più chiaro di così non posso essere».
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