LA STRAGE IN FAMIGLIA
Samarate: Stefania Pivetta non morì subito
Si legge nella motivazioni della sentenza che ha condannato il marito, Alessandro Maja, all’ergastolo

Stefania Pivetta non andò incontro a una morte istantanea. Anche se solo per qualche minuto, e verosimilmente incosciente, la cinquantasettenne uccisa con la figlia Giulia dal marito Alessandro Maja sopravvisse all’aggressione. Si legge nelle motivazioni della sentenza che ha condannato Maja all’ergastolo e che riportano stralci dell’autopsia: due o tre colpi di mazzetta da carpentiere sulla testa della moglie, che causarono uno «sfacelo cranio-encefalico con fratture e lesioni viscerali, esercitati con una notevole vis lesiva». E poi una ferita al collo, da destra a sinistra, di circa diciotto centimetri che interessava la giugulare destra, la porzione anteriore della trachea, il lobo tiroideo di sinistra, la carotide e la giugulare sinistra.
Una lesione «probabilmente inferta il limine vitae se non già a morte avvenuta». Il medico legale ha infatti individuato «aspetti suggestivi» (ossia che suggeriscono) di inalazione di sangue che sarebbe incompatibile con un decesso istantaneo. Eppure l’imputato sostiene di non ricordare quella coltellata.
Il presidente della corte d’assise Giuseppe Fazio, nelle motivazioni, fa notare che «come è stato condivisibilmente affermato, ciascuno ovviamente può dichiarare di ricordare o di non ricordare qualcosa a seconda del proprio interesse processuale».
In ogni caso il buco mnemonico non sarebbe indice di incapacità, lo psichiatra Marco Lagazzi ha riportato casi di rimozione totale, parziale o puntuale delle dinamiche del delitto in presenza di piena capacità di intendere e di volere.
La corte d’assise di Busto Arsizio si è semmai convinta che «la condotta dibattimentale di Maja e il suo esame che l’imputato fosse molto attento» e che rispondesse alle domande «a tono, pur con quelle che sono apparse amnesie selettive, a dimostrazione di una condizione psichica che è sembrata non patologica».
Alessandro Maja - che è difeso dagli avvocati Gino Colombo e Laura Pozzoli - ricordava molti episodi del suo passato più o meno recente, «specie con riguardo agli aspetti economici finanziari e patrimoniali della sua vita, non solo matrimoniale e ai rapporti familiari, specie coniugali».
L’oblio del coltello «è risultato poco convincente posto che l’imputato aveva ricordato davanti al gip (Piera Bossi, ndr) di avere usato il coltello contro se stesso e i coltelli insanguinati erano due. Solo uno venne trovato accanto alla mazzetta, rendendo ragionevole ritenere che mazzetta e quel coltello vennero usati insieme e insieme poi abbandonati».
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