NUOVA TRANCHE
Saronno: Cazzaniga, altre morti sospette
Tra i casi da valutare anche quello di una centenaria

Altri quattordici decessi ospedalieri, tra cui quello di una centenaria: settimana prossima l’ex viceprimario del pronto soccorso Leonardo Cazzaniga comparirà davanti al gip Piera Bossi per rispondere però solo di un omicidio della tranche nuova, quello per la cui richiesta di archiviazione l’avvocato Giovanna Menichino ha fatto opposizione. Vittima Romano Venturi, spirato il 27 dicembre del 2010 nelle stesse circostanze dei pazienti per cui Cazzaniga è stato condannato all’ergastolo anche in appello. Per la procura di Busto il fascicolo sarebbe stato da archiviare. Quella sera di undici anni fa all’1.46 Venturi venne ricoverato per un malore che pareva lieve. Morì alle 2.38. Nella cartella clinica venne segnata, alle 2.18, la somministrazione di cinque fiale di morfina.
Sei minuti più tardi il respiro del paziente divenne agonico (fenomeno che in medicina è chiamato gasping), alle 2.38 venne registrata un’iniezione di ipnovel (farmaco ipno inducente il cui principio attivo è il midazolam di cui Cazzaniga ha sempre fatto largo uso) praticata nella succlavia, il vaso sanguigno sottostante la clavicola.
Questione di nanosecondi e il polso centrale e periferico non c’erano più. La famiglia, quando scoppiò il caso Cazzaniga, ricollegò quella morte quasi inspiegabile al protocollo contestato all’ex vice primario e si rivolse all’autorità giudiziaria. Così fecero altri parenti che - tra il 2009 e il 2014 - persero il loro caro in corsia nonostante le condizioni di accesso non fossero drammatiche. Casi per i quali l’ex procuratore capo Gianluigi Fontana non ravvisò un nesso eziologico tra le terapie del medico e l’exitus. Oltre alla nonnina centenaria (un secolo di vita compiuto da appena un mese) ci sono altre nove donne tra i sessantasei e gli ottantanove anni, un uomo di sessantasette anni, uno di ottanta, il settantaquattrenne Venturi. Gli avvocati Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora sono pronti a ribadire la linea difensiva che però non ha fatto breccia né in corte d’assise a Busto né a Milano. I legali - e l’imputato stesso - da anni si battono per sostenere le finalità palliative del cocktail di farmaci somministrato «a malati agonizzanti, terminali», senza più alcuna speranza. Per l’accusa invece praticava la pura e semplice eutanasia.
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