OSPEDALE
Inciampò nello zerbino: inchiesta
I soccorritori non caricarono l’anziano sul lettino e questi cadde fracassandosi il volto: supplemento d’indagine
Inciampare in uno zerbino all’ospedale, fracassarsi il volto e ritrovarsi in condizioni ancora più complicate di quanto fossero prima del ricovero: inaccettabile che la vicenda si chiuda con un’archiviazione, e infatti il gip Piera Bossi ha disposto un supplemento di indagini. Ancora un’inchiesta che coinvolge l’ospedale di Saronno, dopo il clamoroso caso mediatico delle morti in corsia.
Il paziente aveva settantadue anni, l’incidente accadde il 4 luglio del 2018, nel frattempo il pensionato è morto a causa della patologia oncologica che gli avevano diagnosticato, ma per le lesioni provocate dalla caduta deve comunque emergere una responsabilità.
L’anziano si recò al pronto soccorso perché accusava capogiri, vertigini e mancanza di equilibrio, quindi difficoltà deambulatorie. Dagli esami emerse una neoformazione cerebellare che avrebbe richiesto un intervento di neurochirurgia all’ospedale di Legnano, specializzato. Lo step successivo sarebbe stato la presa in carica all’Istituto europeo oncologico. Il giorno del trasferimento da Saronno a Legnano, arrivò la Croce d’Argento, i barellieri non ritennero di far sdraiare il paziente sul lettino, vedendo che comunque fosse in apparenza autosufficiente gli consentirono di fare quattro passi a piedi, e lui non ebbe nulla in contrario, anzi confermò la volontà di raggiungere l’autolettiga a piedi. Sulla barella ci finì il borsone con gli indumenti e gli effetti personali.
All’uscita dalla struttura però c’era una trappola, in cui molti utenti in passato sono incespicati. Un dislivello, una sconnessione del pavimento in corrispondenza dello zerbino. L’uomo, anziano, precario di salute e oltretutto ricoverato per instabilità fisica, cadde a peso morto con la faccia a terra. Si ruppe la mascella, il naso, lo zigomo. Non proprio auspicabile per chi ha un tumore alla testa da asportare.
Accompagnato di nuovo in neurologia, da cui era stato appena dimesso, venne disinfettato da un’infermiera e da un medico e poi inviato a Legnano, per l’escissione della neoplasia, senza un passaggio al pronto soccorso perché risultava ormai dimesso. L’11 luglio quindi oltre al delicatissimo intervento al cervello, il settantaduenne dovette subire pure un’operazione maxillo facciale di riduzione della frattura mascellare e di quella delle ossa nasali. A parere del gip Bossi, che ha accolto l’opposizione all’archiviazione presentata dalla famiglia, «non risulta essere stato adeguatamente accertato il profilo della condotta colposa in capo a medici o altro personale che lo dimisero e lo affidarono agli addetti al trasporto, diventati quindi posizioni garanti».
Il fatto che all’atto delle dimissioni il pensionato avesse avuto miglioramenti significativi senza manifestare «franchi disturbi della deambulazione» secondo il giudice avrebbe dovuto imporre «in ragione della storia clinica pregressa, una particolare cautela nella fase di trasferimento del paziente nell’altro ospedale».
Ora il fascicolo è tornato al pubblico ministero che dovrà verificare - tramite le opportune audizioni - le modalità concrete della consegna del paziente per il trasporto a Legnano e il preciso motivo della caduta con accertamento della sussistenza di un’eventuale insidia sul piano di calpestio dell’ospedale. Il pm dovrà inoltre acquisire la documentazione sanitaria dell’ospedale legnanese dove il paziente venne accolto dopo la caduta, con l’escussione degli operatori che lo ebbero in cura.
«Occorre circoscrivere il profilo di condotta colposa penalmente rilevante in termini di negligenza o imprudenza e determinare il nesso eziologico, anche come concausa, con l’evento lesivo della caduta. La procura avrà tempo fino al 30 maggio per rispondere ai quesiti del gip.
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