PIAGA SOCIALE
Schiavi del bere a vent’anni
L’associazione Alcolisti anonimi lancia l’allarme: giovani e già all’ultima spiaggia. Il cattivo esempio dei film americani

«Da noi arrivano a 25-30 anni. Siamo l’ultima spiaggia dopo comunità di recupero o tentativi di disintossicazione. La realtà è triste: sempre più adolescenti diventano dipendenti dall’alcol».
Alessandro, dell’Associazione Alcolisti Anonimi, racconta un disagio crescente che preoccupa chi da tempo combatte l’abuso di vino, birra o superalcolici. E prepara un incontro che si terrà il 31 maggio, dalle 18 alle 20, al liceo scientifico Tosi, con genitori e insegnanti: un modo per prevenire e affrontare una tendenza che dilaga anche a Busto Arsizio. «Aumentano i ragazzi che si affidano a noi - racconta - Se vengono al nostro gruppo significa che non ce l’hanno fatta in un altro modo. Tanti adolescenti bevono, si vede. E i media non aiutano: nei film, soprattutto quelli americani, i personaggi bevono di continuo. E’ come una pubblicità costante. Il bere non si nasconde e i ragazzi imitano». Alessandro pensa anche ai Tg: «C’è chi si suicida giovanissimo, chi punta su selfie pericolosi. C’è la voglia di sballare, di essere diversi. I giovani non hanno principi e valori da seguire. Poi capita che la famiglia non aiuti, i genitori sono assenti perché lavorano: chi li cura i ragazzi?».
Perché gli adolescenti iniziano a darsi all’alcol? «Magari hanno in casa qualcuno che alza un po’ il gomito e non è un buon esempio. Si comincia per trovare coraggio, perché si è timidi. Oppure, andando in discoteca, si beve per superare le paure. Finché capita una volta alla settimana può passare, quando diventa uno strumento per superare le difficoltà che si vedono davanti si peggiora. Non si coglie più la differenza, non ricordi cosa hai fatto. C’è una linea sottile che separa la persona diventata alcolista da quella che beve il sabato sera e si ubriaca qualche volta». È importante lavorare nelle scuole? «Portiamo la nostra esperienza di vita vissuta. Un paio di persone si raccontano, come avviene nei nostri gruppi, buttano fuori tutto e i ragazzi fanno domande. Gliele facciamo proporre in forma anonima, attraverso dei foglietti. Loro ascoltano a bocca aperta, attentissimi. Poi emerge che hanno il papà che beve o affrontano situazioni complicate. Noi cerchiamo di dare risposte. Solo sul fronte salute non dovremmo rispondere, perché non siamo medici, puntiamo al recupero della sobrietà».
È così dal 1935, da quando queste realtà nacquero in America. «Oggi ci arrivano tante richieste dalle scuole. A Busto andiamo anche alla comunità Marco Riva: in un ambiente protetto non puoi né bere né drogarti ma poi esci e l’ambiente non è più protetto se vuoi rimanere sobrio. Non si diventa alcolisti di punto in bianco e non si smette in un secondo: devi coltivare un cambiamento nello stile di vita, ecco perché si frequentano i gruppi». Alessandro, che ha informato di tutto l’ assessore Miriam Arabini, sa già che il 31 non avrà davanti una folta platea di genitori: «La partecipazione di solito è minima, l’alcolismo viene visto come un vizio da nascondere. Noi facciamo quel che possiamo, se la gente non vuole fare nulla per contrastare il fenomeno non dipende da noi. Lo scorso anno, però, al liceo Tosi, c’è stato entusiasmo. Una ragazza ha letto davanti ai suoi genitori il tema che aveva scritto sull’alcolismo. Sono sperimentazioni che facciamo. Sappiamo di non poter contare su un’ampia partecipazione, ma per noi salvare anche un solo ragazzo è importante».
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