IL CASO
«Sfrattati dopo 30 anni nella stessa casa»
Una 90enne invalida e i due figli si trovano senza un tetto. Mino Caputo si appella alla sindaca di Castellanza

Una famiglia di Castellanza è stata sfrattata, mercoledì 17 settembre, dopo 30 anni di vita nella stessa casa. Si è così ritrovata senza un tetto e senza alternative, senza un altro posto dove andare. Si tratta tre adulti: una madre novantenne, invalida al 100%, la figlia, che per assistere la mamma giorno e notte ha rinunciato al lavoro, e il figlio, prossimo alla pensione.
LA RICOSTRUZIONE
«La motivazione dello sfratto – spiega Romeo “Mino” Caputo, in qualità di cittadino, non di ex consigliere comunale – non è la morosità, ma la volontà, dichiarata dalla proprietà, di effettuare lavori di ristrutturazione. Una situazione fragile, resa drammatica dall’assenza di una rete di protezione nel momento più critico. Nonostante i Servizi sociali fossero stati messi al corrente della vicenda fin dalle prime comunicazioni dello sfratto, l’intervento dell’ufficiale giudiziario è avvenuto senza che la famiglia avesse una soluzione abitativa alternativa. Tentativi nel mercato privato sono stati fatti, ma con risultati insostenibili sul piano economico». Mino Caputo si dice molto rammaricato dell’epilogo della vicenda: «È mancata non solo una casa, ma soprattutto una risposta pubblica, umana e amministrativa. Perché, se è vero che la proprietà privata è tutelata dalla legge, è altrettanto vero che i diritti delle persone fragili, in particolare degli anziani, devono trovare un bilanciamento concreto nelle azioni di chi amministra il territorio».
L’APPELLO ALLA SINDACA
Secondo il castellanzese a far rumore in questa vicenda, più che lo sfratto in sé, è il silenzio che lo ha accompagnato. Di qui l’appello al sindaco Cristina Borroni: «Cara signora sindaca, sono profondamente indignato per un comportamento che non è rassicurante per le fragilità presenti nella nostra comunità. Quando una famiglia composta da una donna novantenne invalida, da una figlia che ha sacrificato la propria vita professionale per assisterla, e da un figlio in prossimità della pensione, viene sfrattata senza avere un’alternativa abitativa, qualcosa non ha funzionato. Il silenzio o l’inerzia delle istituzioni in momenti come questi lancia un messaggio pericoloso: che nessuno è davvero al sicuro, neppure dopo trent’anni di regolare convivenza e correttezza. Signora sindaca, ciò che si chiede non è l’impossibile ma una rete di protezione reale, fatta di ascolto, interventi tempestivi, collaborazione concreta fra istituzioni e attenzione alle singole storie umane, tutte nessuna esclusa».
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