LO SPETTACOLO
«Solo», ma in grande compagnia

«Solo»: «nel senso di as-solo, il violino solo e l’assolo del maestro, «solo» per far capire che è uno one man show, e che è l’assolo del maestro della trasformazione».
Sì, perché nel nuovo spettacolo - che sarà da domani, venerdì 21, al 30 gennaio al Teatro Arcimboldi di Milano e il 10 febbraio al teatro di piazza della Repubblica a Varese - «Solo», appunto, Arturo Brachetti di personaggi ne veste e sveste un settantina, in quell’arte della metamorfosi che lo continua a fare applaudire in tutto il mondo, e che in questo show si unisce a ombre cinesi, manipolazione, luci laser, videomapping, disegni sulla sabbia, scene high-tech. E a un attore che impersona la sua ombra.
«Spesso - spiega Brachetti - il problema degli one man show è che si mettono insieme cavalli di battaglia, pezzi di bravura, ma a volte è difficile, se non impossibile, trovare un fil rouge. In questo la storiella che tiene insieme tutto è davvero ben pensata, sta in piedi da sola».
Anche grazie all’incontro con l’ombra. «Incontro la mia ombra - prosegue Brachetti - impersonata dall’attore americano Kevin Michael Moore, che è l’unico altro essere umano in scena con me. Il Peter Pan che si muove dentro di me in scena, ma anche nella vita si incontra con la propria ombra: e mentre l’ombra ci tira verso il basso, striscia per terra e sui muri, rappresenta la razionalità, io voglio volare. Ma alla fine facciamo la pace, perché capisco che bisogna sì sempre volare, ma anche tornare con i piedi per terra».
Una splendida metafora che non è l’unica di questo «Solo», che già parte con un’immagine particolare: Brachetti in questo spettacolo apre veramente le porte di casa. «All’inizio - svela - sono davanti a una casetta in miniatura, dicendo che ognuno ha una casa così nel proprio cuore e nella propria testa: è la casa dei nostri sogni, dei nostri ricordi, delle nostre paure. Ogni stanza è un numero e non solo. E la casa diventa un bel pretesto visivo, ci si entra vedendone l’interno in un video proiettato sulle pareti. È una bellissima casa in miniatura in stile cinematografico. Alla fine è una riflessione comune, la gente si sente toccata. E devo dire che spesso ci scappa la lacrimuccia e incontro spettatori che mi ringraziano per aver ridato loro un po’ della loro infanzia».
Peter Pan, insomma, la pace con la sua ombra la fa. Ma non smette di voler volare, anche se oggi è un po’ più difficile. «Oggi volare è molto difficile - ammette Brachetti - Perché, per usare un’altra metafora, Icaro volava verso il sole e adesso il sole è spesso annebbiato, non si sa se è lì o là, se si vedrà ancora. Il tunnel che da due anni è chiuso e oscuro un po’ si è rischiarato, ma adesso è tornato a essere un po’ annebbiato. Ma ho confidenza, sono fiducioso».
Dalle favole alle serie tv, i personaggi si susseguono con trovate comiche, poetiche, nostalgiche, tra “best of” e soprattutto una macchina sempre nuova di sorprese in grado di risorprendere ancora una volta il pubblico. Ma non c’è un personaggio a cui Arturo Brachetti può dire di essere più affezionato. «Non ho il tempo di affezionarmi - confida - perché durano talmente poco. Però lo spettacolo mi piace molto fisicamente, mi dà un thrill quando volo e mi stacco da terra cinque o sei metri e vedo la platea che si allontana, la galleria che si avvicina, le teste della gente sui palchi laterali. E mi dimentico che c’è un marchingegno che mi fa volare e la vivo per quello che è: l’illusione di poter volare. Ed è una terapia riuscire a volare: è come vivere quel sogno over and over. E il Peter Pan dentro di me gode molto».
Sara Magnoli
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