OMICIDIO FARACI
«Melina uccise per la pensione»
Depositate le motivazioni dei tre ergastoli per via Briante. Nessun dubbio sul ruolo della donna nell’omicidio del marito
Più che la passione, la spinse l’avidità. Melina Aita, con l’amante Bechir Baghouli e l’amico Slaheddine Ben ‘H Mida, il 12 aprile del 2014 uccise il marito Antonino Faraci per questioni economiche.
Lo scrive il giudice estensore della corte d’assise Rossella Ferrazzi nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi: «Il matrimonio con la vittima era da tempo in crisi, come confermato dall’esistenza di una relazione extraconiugale, abilmente celata a tutti e proseguita per un lasso di tempo molto lungo. È quindi credibile che, stante la mancanza di denaro di Baghouli - che non lavorava - e la gestione esclusiva del denaro di famiglia da parte del marito, Aita abbia deciso di liberarsi di Faraci in modo da poter essere libera anche nelle scelte economiche, godendo della propria pensione e di quella di reversibilità del marito».
Dunque per la corte presieduta da Renata Peragallo, «il movente del delitto deve essere ricollegato alla relazione esistente tra Baghouli e Aita, come risultante da tutti gli elementi più volte ripercorsi e alla dipendenza economica di Aita dal marito.
La donna, pur percependo una propria pensione, deve dar conto al marito di ogni spesa. Sino al 2013, nel corso della relazione con l’amante storico, Aita otteneva somme in prestito da lui, ottenendo una certa libertà di spesa. Ma Baghouli non lavorava e non disponeva di denaro. E neppure l’amico Ben ‘H Mida ne aveva, in più giocava alle macchinette e non pagava le stanze che occupava. In tali elementi deve quindi individuarsi il movente dell’omicidio per ciascuno dei partecipi», scrive il giudice Ferrazzi.
Melina - difesa dall’avvocato Pierpaolo Cassarà - e i coimputati tunisini - difesi dagli avvocati Marco Brunoldi e Carla Guembes - il 3 dicembre sono stati condannati all’ergastolo, così come richiesto dal pubblico ministero Rosaria Stagnaro.
Per tutti è valsa l’aggravante della premeditazione: «Gli imputati si sono sentiti e incontrati nel pomeriggio dello stesso giorno, attuano quanto programmato, si spostano verso Somma, spengono i cellulari, cancellano le telefonate, Aita si costruisce un alibi recandosi dalla figlia a Fagnano, si disfano dei coltelli».
Stesso discorso per l’aggravante della crudeltà: «Nei confronti della vittima è stata usata violenza ben oltre quella necessaria a cagionarne il decesso. Sussiste anche l’aggravante della minorata difesa: Faraci era anziano, aveva avuto un ictus ed era stato recentemente operato al piede».
Ora gli avvocati valuteranno il ricorso in appello, peraltro già annunciato il giorno della sentenza.
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