IL PROCESSO
Spaccio e rissa: ventisei anni di carcere
Guerra tra bande a Pianbosco: patteggiano in sette

Spaccio, detenzione di armi e rissa nei boschi della droga: ventisei anni di carcere.
Hanno patteggiato ieri, davanti al gup del tribunale di Varese Giuseppe Fertitta, i sette protagonisti - sei marocchini e un italiano, tutti in carcere - della violenta resa dei conti avvenuta il 16 marzo del 2018 a Pianbosco. Uno scontro, quello tra le due bande che si contendevano il controllo del traffico di stupefacenti, concluso con una sparatoria nella quale perse la vita il venticinquenne marocchino El Azyz Noureddine, il cui cadavere fu poi caricato in auto e abbandonato nel territorio di Locate Varesino. Ieri nell’aula del gup si sarebbe dovuta celebrare l’udienza preliminare anche per l’omicidio: sotto accusa due marocchini - quello che premette il grilletto e quello che, secondo il pm Massimo Politi, lo istigò a sparare -, mentre un altro nordafricano e l’italiano sono accusati di occultamento di cadavere. Ma poiché i quattro imputati di questo fascicolo figurano anche nel procedimento su cui ha emesso sentenza proprio ieri, il gup ha dichiarato la propria incompetenza e ha rinviato il processo davanti a un altro giudice, il 24 ottobre.
Per gli altri reati, i sei marocchini e il varesino - considerato l’autista del gruppo - hanno scelto la via del patteggiamento, come concordato dai loro legali (gli avvocati Fabrizio Cardinali, Massimiliano D’Alessio, Elvira Borsani e Laura Velluzzi) con il pubblico ministero. Le pene vanno da un minimo di tre anni e mezzo a un massimo di tre anni e dieci mesi.
Dopo quella sparatoria, i carabinieri di Como arrestarono, a novembre dello scorso anno, sette persone (tutti marocchini tra i 25 e i 36 anni, oltre all’italiano di 52), accusate a vario titolo di concorso in omicidio, occultamento di cadavere, rissa, detenzione di armi e spaccio. Le indagini dell’Arma portarono alla luce ciò che avveniva nei boschi a cavallo tra le province di Varese e Como. Boschi in cui si fronteggiavano due gruppi per controllare il giro di droga (cocaina, eroina ed hashish), con un volume d’affari stimato dagli inquirenti in circa diecimila euro al giorno. Una guerra che durava da tempo e culminata nello scontro a fuoco del 16 marzo costato la vita a Noureddine, avvenuto davanti a numerosi clienti degli spacciatori. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, uno dei due gruppi di pusher (tutti domiciliati a Milano, in buona sostanza dei “pendolari dello spaccio”) aveva trasferito la propria attività nel Comasco, ma quando si era reso conto che la zona non era redditizia quanto il Tradatese aveva deciso di riconquistarsi il territorio. E le due bande si erano fronteggiate, cinque contro quattro, armati di pistole e fucili a canne mozze. Nel corso delle perquisizioni eseguite nove mesi dopo, i militari sequestrarono panetti di droga, coltelli, cartucce e persino un machete e una mannaia.
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