IL COLPO DI SCENA
Taroni, errore nella sentenza
L’ex infermiera condannata a trent’anni in appello. Mancano però 13 pagine nelle motivazioni del verdetto

I trent’anni di reclusione confermati in secondo grado a Laura Taroni potrebbero essere messi in discussione. Perché la Corte d’assise d’appello ha commesso un errore che non può liquidarsi con la definizione di «materiale».
I giudici, presieduti da Ivana Caputo, nelle motivazioni depositate il 30 novembre hanno scordato tredici pagine. O meglio, non hanno proprio contemplato l’imputabilità dell’ex infermiera accusata di duplice omicidio, nonostante fosse un elemento chiave del ricorso presentato dalla difesa, che sulla capacità di intendere e di volere ha insistito anche in udienza.
Questo almeno è ciò che pare chiaro ai tecnici del diritto, un caso di omessa motivazione che è causa di possibile nullità del processo milanese e di remissione del fascicolo a una nuova corte.
A quanto pare i magistrati se ne sono accorti in modo «casuale».
Il 23 dicembre agli avvocati della ex compagna del vice primario Leonardo Cazzaniga hanno trovato nella posta elettronica certificata un’ordinanza del presidente Caputo con cui è stata fissata la camera di consiglio per procedere con la «correzione di un errore materiale».
Ed è proprio scritto nero su bianco: «Da una lettura casuale della copia depositata in cancelleria, l’estensore (cioè il giudice che ha scritto le motivazioni) ha rilevato che la sentenza risulta mancante di un passaggio della motivazione corrispondente a tredici pagine. (...) La mancanza è dipesa da un mero errore in cui è incorso l’estensore al momento dell’assemblaggio delle parti della sentenza».
Prima di Capodanno, i legali di Laura Taroni hanno contestato la nullità del decreto di fissazione dell’udienza riparatoria e della procedura scelta per rappezzare l’errore.
L’udienza è stata fissata il 22 gennaio, ma i termini per impugnare la sentenza mutile scadono il 14.
Insomma, un pasticciaccio. Che, come estrema conseguenza di ipotetiche ulteriori complicazioni, potrebbe portare alla scadenza dei termini di fase e quindi alla scarcerazione dell’imputata che è rinchiusa nel carcere femminile di Como.
L’ex infermiera risponde dell’omicidio del marito Massimo Guerra e della madre, Maria Rita Clerici, uccisi - secondo l’accusa - con la complicità di Cazzaniga. In origine le era stato contestato anche l’assassinio del suocero Luciano Guerra, ma per quel capo di imputazione era stata assolta in primo grado dal gup Sara Cipolla. L’accusa è rimasta solo sulle spalle del medico.
Ma durante la requisitoria, al termine del dibattimento davanti alla corte d’assise presieduta da Renata Peragallo, il procuratore capo Gianluigi Fontana e il pubblico ministero Maria Cristina Ria hanno rivisitato la ricostruzione del delitto, giungendo a una conclusione: la morte di Luciano Guerra porta la firma tanto di Cazzaniga quanto della nuora.
Venerdì l’ex vice primario torna in aula a Busto Arsizio e la parola andrà prima all’avvocato Cesare Cicorella - difensore del medico legale Maria Luisa Pennuto - poi ai suoi difensori, Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora. A loro sono state riservate almeno due giornate di arringa.
Salvo intoppi, già il 24 gennaio potrebbe essere pronunciata la sentenza per i decessi dei pazienti, che Cazzaniga avrebbe soppresso con un mix di farmaci letali, e per quelli dei congiunti di Laura Taroni.
Due giorni prima, il 22, in Cassazione si discuterà invece il ripristino della misura cautelare in carcere che a settembre era stata attenuata dalla Corte d’assise, tanto che Cazzaniga è agli arresti domiciliari. La procura ha proposto ricorso e l’appello le ha dato ragione.
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