L'EVASIONE FALLITA
Uno morto, due in cella. La resa dell'antistato
La tragica vicenda dei tre fratelli Cutrì: Nino ucciso, Mimmo e Daniele arrestati coi loro sette complici. Tra loro la "spavalda" Carlotta, la fidanzata di Nino, difesa da Carlo Taormina. Il ruolo del furgone bianco noleggiato
Daniele Cutrì ha coronato il suo sogno: stare col fratello Domenico.
L’ha coronato, questo sogno, il più giovane dei Cutrì a prezzo della vita dell’altro fratello, Antonino (morto ucciso nell’assalto alla polizia penitenziaria per far evadere Mimmo ) e della sua stessa libertà. Infatti i fratelli Cutrì da domenica 9 febbraio sono insieme ma in celle separate nel sorvegliatissimo braccio K del supercarcere di Opera.
In attesa che lunedì 10 febbraio Daniele e la compagna di suo fratello Nino, Carlotta Di Lauro, compaiano davanti al gip per l’udienza di convalida del fermo cui sono stati sottoposti, le uniche parole dei fratelli sono quelle di Domenico: "Sono un po’ stordito", ha farfugliato confusamente Mimmo mentre i carabinieri lo accompagnavano in carcere. Il blitz in via Villoresi che ha interrotto la sua latitanza, messo a segno intorno alle 2.30 di domenica 9 febbraio, lo ha a dir poco tramortito.
CINQUE SECONDI
Nel covo di fortuna in cui si rifugiava insieme a Luca Greco dal 5 febbraio (dopo la fuga durante il trasferimento al tribunale di Gallarate messa in atto grazie a un commando guidato da suo fratello Antonino, che nell’azione aveva perso la vita) i Gis hanno fatto irruzione sfoderando una vasta gamma di effetti a sorpresa: in assoluto silenzio hanno piazzato una carica esplosiva e hanno fatto saltare la porta di ingresso, coprendo immediatamente i tre locali, peraltro degradati, privi di luce, acqua, gas e di servizi igienici. Una volta dentro, la squadra speciale ha esploso le flashbang, granate assordanti e accecanti che hanno impedito ai due latitanti di rendersi conto di quanto stesse accadendo, perché il lampo abbagliante annienta la vista per circa cinque secondi. A quel punto Cutrì e Greco sono stati ammanettati e messi in condizione di non nuocere. Mimmo era sdraiato su una delle due brande della tana, dove l’Arma ha rinvenuto alcune dosi di marijuana e duemila euro che sarebbero serviti alla sopravvivenza. Ha provato a impugnare una 357 Magnum col colpo in canna, ma il tentativo si è rivelato del tutto inefficace a fronte di un vero e proprio assalto bellico durato non più di otto secondi. Con l’arresto dell’ergastolano, dell’inseparabile amico Luca e di Franco Cafà - il geometra da cui avevano ottenuto l’appartamento dopo aver bruciato i rifugi di Cellio e di Gallarate, preso a Buscate sabato pomeriggio - la sanguinaria evasione di lunedì 3 febbraio ha conosciuto anche l’ultimo capitolo.
OSPITI SGRADITI
Mimmo e Luca sono stati portati in un primo momento nel carcere di Busto Arsizio, l’amministrazione penitenziaria però non “gradiva” la presenza dei Cutrì in via per Cassano, così nel primo pomeriggio Mimmo e il fratello minore Daniele sono stati trasferiti a Opera, nel settore di massima sicurezza. D’altro canto, nella casa circondariale bustese si sarebbe creata una sorta di incompatibilità ambientale, visto che le quattro guardie aggredite davanti al tribunale di Gallarate è lì che prestano servizio.
“ARRESTATEMI”
È una posizione del tutto defilata e marginale quella di Franco Cafà nel piano organizzato da Nino Cutrì per liberare il fratello dal carcere. Il geometra, trovato dai carabinieri davanti a un supermercato di Buscate, avrebbe il solo torto di conoscere la famiglia Cutrì e i suoi sodali da molti anni. Onesto imprenditore incensurato, mercoledì 5 febbraio Cafà era stato avvicinato da Luca Greco con una richiesta: mettere a disposizione uno degli immobili vuoti che, essendo egli un costruttore, aveva sul territorio. Tutti in zona conoscono la fama di Mimmo e soci, rifiutare un favore sarebbe stato rischioso. Così ha dato loro le chiavi della palazzina in ristrutturazione di via Villoresi, a pochi passi dall’abitazione dei genitori di Mimmo, Nino e Daniele. Il trentacinquenne sabato è stato ascoltato per ore “Sono contento che mi arrestiate”, ha commentato quasi con sollievo quando il pubblico ministero Raffaella Zappatini e il capitano Michele Lastella hanno deciso per il fermo. Evidentemente, per quanto pasticcioni e un po’ fantozziani (come dimostra la fallimentare impresa elaborata da Nino), i Cutrì facevano comunque paura in paese.
ULTIME INDAGINI
Gli inquirenti non hanno comunque ancora concluso tutti gli accertamenti necessari a comporre un puzzle definitivo della vicenda. Al vaglio ci sono ancora le posizioni della sorella di Mimmo, Nino e Daniele - Laura Cutrì - , del padre Mario e di chi potrebbe in qualche modo aver agevolato l’agguato, la fuga e la latitanza dell'ergastgolano. Martedì 11 febbraio, inoltre, il medico legale effettuerà l’autopsia sul corpo di Nino, esame che consentirà di appurare quale proiettile lo abbia colpito, per escludere che il trentunenne sia stato vittima di fuoco amico. Non a caso gli avvisi di garanzia sono stati inviati soltanto ai componenti del commando.
IL SILENZIO DI ARISTOTELE
Dopo Davide Cortesi, Danilo Grasso e Christian Lianza, domenica 9 febbraio nel carcere di Napoli è stato interrogato anche Aristotele Buhne il quale ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Anche lui avrebbe partecipato all’agguato alla polizia penitenziaria, impersonando il ruolo di ostaggio del commando. Come anticipato, invece, la mattina di lunedì 10 febbraio compaiono davanti al gip di Busto Arsizio, Daniele Cutrì e Carlotta Di Lauro. All’udienza di convalida ha fatto la sua comparsa l’avvocato Carlo Taormina, colui il quale avrebbe convinto la ventisettenne a costituirsi. Mimmo Cutrì, Luca Greco e Franco Cafà saranno ascoltati invece martedì 11 febbraio, con ogni probabilità per rogatoria.
LA GALLINA NERA
Dalle informazioni raccolte dalla piccola Stazione territoriale fino al blitz chirurgico dei Gis, passando per il lavoro di intelligence e il coinvolgimento di diversi Comandi provinciali. La cattura di Domenico Cutrì - “la gallina nera”, come pare lo chiamassero i complici nelle loro telefonate in codice - ha visto impegnata a tutto campo l’Arma dei carabinieri che, come ha spiegato il tenente colonnello Giovanni Sozzo, comandante del reparto anticrimine del Ros di Milano, “in appena sei giorni ha acquisito il materiale che di solito si ottiene con il lavoro di sei mesi”.
Ma stavolta la posta in gioco era davvero alta, con un commando che - come hanno ricostruito gli inquirenti e come dimostrato dall’assalto di Gallarate – era armato fino ai denti e senza particolari scrupoli ad aprire il fuoco. Anche il colonnello Alessandro De Angelis, comandante provinciale dell’Arma, durante la conferenza stampa di di domenica 9 febbraio ha rimarcato “la pericolosità dei soggetti” e la complessità delle operazioni, concluse poi “con l’intervento risoluto e immediato dei Gis (il Gruppo di intervento speciale, reparto d’elite dei carabinieri, ndr)”.
I RAMI SECCHI
Entrando poi nel merito delle indagini, il tenente colonnello Loris Baldassarre, comandante del Reparto operativo di Varese, ha parlato della “tecnica del taglio dei rami secchi”, che “consiste nell’eliminare di volta in volta gli appoggi offerti al latitante. Cutrì è stato costretto a trovare un rifugio di fortuna: l’ultimo covo in cui si era nascosto, infatti, era senza luce, acqua e servizi igienici. In un terreno a lui congeniale ma in una struttura davvero poco funzionale. Per arrivare a rintracciarlo è stato effettuato un lavoro di ricostruzione in tempi molto ristretti”.
L’AMICO GRECO
Dev’essere un legame viscerale quello tiene Luca Greco avvinto a Mimmo Cutrì al punto da mettere in gioco continuamente la sua vita per lui.
Incrollabile baluardo fino alla cattura, Greco è rimasto accanto all’evaso come un’ombra. Ora è in carcere, con l’accusa di procurata evasione e detenzione di armi clandestine. Ma nei guai c’era già finito nel 2006, quando decise di coprire l’amico nell’omicidio del giovane polacco Lukasz Korbzeniecki, delitto per il quale Mimmo venne condannato all’ergastolo in appello, mentre Greco a tre anni per favoreggiamento. In altre parole, avrebbe fornito un falso alibi a Cutrì, mentendo davanti agli inquirenti.
Il 4 aprile per entrambi ci sarà l’udienza in Cassazione, non è da escludere che la suprema corte rimetta le sentenze in discussione rinviando gli atti ai giudici di terzo grado. Stando però alle carte attuali, la scintilla che accese la sete di vendetta di Mimmo nei confronti del ventiduenne scoccò all’interno del bar di cui all’epoca era titolare Greco, l’Angel & Devil. Era il 16 giugno 2006: Luckasz era stato nel locale di via Manzoni a bere qualcosa. Lì avrebbe fatto delle avances a una ragazza, condite da qualche apprezzamento di troppo.
Ignorava che fosse la fidanzata di Domenico Cutrì, forse ignorava l’esistenza stessa di Domenico Cutrì. Sta di fatto che, senza aver concluso nulla con la fanciulla, il polacco era uscito dal bar e si era fermato in corso Roma a mangiare un kebab. Una volta giunto a pochi passi da casa, in via Garibaldi, venne avvicinato da un’auto. Qualcuno scese e sparò più volte, colpendolo al fianco. Quando Lukasz si accasciò a terra, il killer esplose il colpo di grazia alla schiena, tirando da una distanza ravvicinata. Secondo gli inquirenti - e la sentenza che condanna Mimmo all’ergastolo -, il mandante dell’omicidio fu Cutrì e l’esecutore materiale Manuel Martelli, condannato con rito abbreviato a sedici anni e quattro mesi. Greco, tanto per cambiare, avrebbe fatto da paravento all’inverunese, raccontando versioni alle quali non credette nessuno.
LA SPAVALDA CARLOTTA
Non c’è che dire: nella parte di donna del boss, Carlotta Di Lauro si è calata proprio alla perfezione. Non una lacrima, in pubblico, per la morte del suo compagno Nino Cutrì, non un segno di resipiscenza per averlo seguito in quella folle impresa trascinandosi con sé anche il bimbo di cinque anni.
Anzi, la sera del fermo, la ventisettenne ha sfoderato una punta di spavalderia con i carabinieri.
“Tanto non potete farmi niente me lo ha detto il mio avvocato, che è Carlo Taormina. Io sono la convivente di Nino, non posso essere tirata in causa”, avrebbe dichiarato prima di scegliere la lecita facoltà di non rispondere alle domande degli inquirenti. E poi, a carte compilate, a verbale chiuso e fermo bello e pronto, Carlotta avrebbe preso il provvedimento e, guardando dritto in faccia i militari, avrebbe detto “ora lo leggo, così controlliamo se ci sono errori ortografici, tanto abbiamo tempo”.
Come se non bastasse, avrebbe contestato anche l’uso della Punto per il trasferimento nel carcere femminile di Monza: “Siete sicuri che sia omologata per cinque? E comunque non voglio sedermi in mezzo, se no voi mi state addosso”.
D’altro canto sul suo ruolo attivo nell’organizzazione logistica dell’evasione di Mimmo Cutrì nei giorni scorsi sono state spese ampie descrizioni: con Nino la ventisettenne era andata a Cellio ad affittare lo chalet dove trascorrere la latitanza. Lei avrebbe collaborato all’allestimento della casa, con gigantografia dei due fratelli, uno striscione di benvenuto e poi play station, dvd, generi alimentare di ogni tipo, compresa l’imprescindibile ’nduja calabrese.
Emerge inoltre un nuovo particolare: il giorno in cui il covo vercellese è diventato pericoloso e la sua strada si è divisa da quella di Mimmo e Luca Greco, la ventisettenne avrebbe preso il figlio e si sarebbe recata dall’ottantenne che tempo addietro le aveva affittato il rustico. Da lui si sarebbe fatta riaccompagnare fino a Cerro Maggiore, dando l’indirizzo di una sala giochi. Nessuno per ora sa cos’abbia fatto col suo bimbo fino alla cattura, avvenuta venerdì 7 febbraio. C’è però una certezza: il pm Zappatini segnalerà il caso al Tribunale dei minori. C'è poi il "caso" del furgone bianco, l'ennesimo mezzo nel "parco auto" legato al commando di Gallarate. Noleggiato da Carlotta e Luca Greco, secondo gli inquirenti sarebbe direttamente riconducibile ai due e corroborerebbe la loro responsabilità. Sarebbe insomma stato usato sia per la preparazione dell'evasione, sia per favorire le fasi successive. Il titolare dell'impresa di noleggio, saputo dell'arresto di Mimmo Cutrì e Luca Greco, si è subito recato alla questura di Novara per formalizzare la denuncia in merito alla mancata restituzione.
LA MATRONA NON PARLA PIÙ
Nei giorni scorsi Maria Antonietta Lantone, madre di Domenico Cutrì si era detta ”contenta” del fatto che il figlio fosse “libero. Se avesse la garanzia di un giusto processo sono sicura che si costituirebbe”.
La mattina di domenica 9 febbraio il procuratore di Busto Arsizio Gianluigi Fontana ha rivolto un messaggio proprio ai familiari dell’ormai ex latitante: “Voglio fare un appello ai genitori e ai familiari di Cutrì - ha detto il magistrato in conferenza stampa nella caserma varesina di via Saffi -. Lo Stato democratico è forte e il nostro lavoro non è finito: dovremo ricostruire questa vicenda in ogni particolare, attribuendo a ciascuno, come mi ha insegnato Guido Galli (il magistrato assassinato nel 1980, ndr), le proprie responsabilità. Un figlio morto e due in carcere bastano e avanzano”.
Già nella mattinata di domenica 9 febbraio comunque il padre dei Cutrì aveva tagliato corto coi giornalisti, limitandosi a un sintetico “non è il momento, non vogliamo dire nulla”.
NINO IN CURVA
R.I.P. Nino Cutrì. Recita così lo striscione per ricordare Antonino Cutrì, mostrato domenica 9 febbraio da alcuni tifosi, nel settore dei distinti Sud lato tribuna Tevere, dove sedevano i tifosi della Roma, durante il derby contro la Lazio. Le immagini mostrano due ragazzi (uno di spalle con un giubotto nero e la scritta "Palermo", in rosa) che stendono un telone bianco con la scritta. Fratello dell’ergastolano, Antonino, 30 anni, era rimasto ucciso nel conflitto a fuoco con gli agenti della polizia penitenziaria durante l’assalto al furgone per far evadere Domenico.
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