LA SENTENZA
Amianto killer, assolto dirigente
Segretaria in un’azienda “a rischio” morì a sessant’anni: per il giudice «Il fatto non costituisce reato»
«Assolto perché il fatto non costituisce reato»: così ha deciso il giudice monocratico del Tribunale di Varese Alessandra Mannino nei confronti di un ex dirigente d’azienda, oggi quasi ottantenne, chiamato a rispondere di omicidio colposo per la morte di una sessantenne, avvenuto nel 2012 per mesotelioma pleurico.
Per la Procura si trattò di una “morte da amianto”, dal momento che in passato – circa quarant’anni prima, negli Anni Settanta – la donna aveva lavorato come centralinista in una fabbrica che produceva con utilizzo di amianto materiali “refrattari”, in grado di proteggere dal fuoco e dalle alte temperature parti di impianti industriali.
Ebbene, alla sbarra è finito l’allora direttore di stabilimento e responsabile della produzione: l’imputato era accusato di omicidio colposo perché non avrebbe adottato i “provvedimenti tecnici” necessari per contenere l’esposizione all’asbesto, non avrebbe fornito “idonei mezzi personali di protezione” e non avrebbe formato e informato la lavoratrice sui rischi legati alla sua attività.
La vicenda era però complessa anche perché la donna, come detto, non era un’operaia e svolgeva la propria attività in un ufficio all’interno dello stabilimento di produzione. Secondo la Procura di Varese l’ufficio non era però a tenuta stagna e la ragazza andava spesso, nel corso dei suoi orari di lavoro, nei vari reparti, per portare comunicazioni di servizio e documenti.
L’esposizione alle fibre di amianto, dunque, sarebbe avvenuta così, un’esposizione prolungata e non protetta in conseguenza della quale la donna avrebbe contratto la malattia che la portò quindi alla morte decenni dopo.
Il difensore dell’imputato, invece, ha rimarcato come – stando anche a quanto riferito in aula da un consulente - all’inizio degli anni Settanta materiali trattati in un’azienda con percentuale di amianto inferiore al 10 per cento non venivano ritenuti pericolosi per l’insorgenza di tumori maligni, e di conseguenza la normativa dell’epoca non avrebbe imposto cautele particolari. La pm Antonia Rombolà nella sua requisitoria ha chiesto una condanna a due anni di reclusione, con doppi benefici di legge (sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziale). Ma il giudice ha decretato l’assoluzione dell’imputato.
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