STORIA
Il Moro che regalò a Milano un’epoca d’oro
Carlo Maria Lomartire racconta la dinastia degli Sforza. E Maroni traccia un parallelo con l’attualità

Varese, Ducato di Milano. Ieri e, forse, anche oggi con i suoi vantaggi e i suoi problemi di confine.
Fra intrighi, idee, genio e un po’ di supponenza, nel Rinascimento come oggi, “Milan l’è un gran Milan”.
Se n’è parlato ieri durante l’incontro organizzato alla biblioteca di via Sacco in cui si è presentato in anteprima nazionale il libro “Il Moro, gli Sforza nella Milano di Leonardo”, secondo volume di una trilogia sulla grande Milano dell’epoca, scritto da Carlo Maria Lomartire ed edito da Mondadori.
Chiaramente, al centro della storia spicca la figura di Ludovico Sforza, detto “Il Moro”, uomo animato da un’ambizione insaziabile, che riuscì a fare di Milano, oltre che una delle città più ricche, vivaci e ammirate d’Europa, un’invidiata capitale della creatività e della cultura, caratteristiche che conserva ancora oggi.
«Tutto partì da Francesco Sforza - ha detto l’autore - che riuscì a imporsi grazie alla sua forza militare e diplomatica, a partire dall’alleanza coi Medici. La sua opera venne portata avanti dal figlio Ludovico il Moro, che voleva trasformare il Ducato di Milano in una grande potenza italiana, forse in un Regno del nord. Per questo si servì di qualsiasi arma: intelligenza, un cinismo inquietante e una forza di volontà ferrea. Ebbe una concretezza milanese che, oggi, manca alla politica italiana, totalmente orfana di milanesità. Era un uomo fuori dal comune, ma anche fuori dai tempi perché, mentre in Europa nascevano gli Stati-nazione, con i loro eserciti come nucleo miliare della propria forza, ciò non avvenne per i ducati italiani, che continuavano a ricorrere alle compagnie di ventura: e fra l’altro, una di esse, gli svizzeri, mollò il Moro e ne decretò la fine».
Nell’incontro, moderato dal direttore della Prealpina Maurizio Lucchi, alla presenza dell’editore Daniela Bramati e introdotto da Francesco Spatola, c’è stato anche un interessante parallelo con quanto avviene nella politica di oggi, grazie all’intervento di Roberto Maroni: «Sono molti i parallelismi fra quell’epoca e oggi - ha confermato l’ex presidente della Regione Lombardia - come la difficoltà a dialogare col Veneto e con Venezia, per via della sensazione di assedio che sentivano di subire dalla Lombardia. Inoltre, Milano, oggi come allora, è un luogo in cui si concretizzano scelte, progetti e sogni. È il nostro modo di vivere e di fare: ascoltare, collaborare, fare scelte coraggiose e portarle a termine. Quello che chiamo il Rito ambrosiano: qui, quando c’è qualcosa da fare, si mettono da parte anche le rivalità e le differenze. Pensate - ha aggiunto Maroni, scherzando - ho collaborato anche con politici del Pd e perfino interisti. Venendo all’attualità, non sono così pessimista sul governo attuale. Ci sono cose che condivido e no e mi auguro che, rispetto alla propaganda, prevalgano le cose che ci interessano di più: flat tax e investimenti sulle infrastrutture».
Tornando all’epoca rinascimentale di Milano, a Ludovico il Moro si devono anche i vent’anni di Leonardo da Vinci nel capoluogo lombardo: «A differenza di quanto si pensi - ha ricordato Lomartire - fu Leonardo a proporsi a Ludovico Sforza: presentò una sorta di curriculum in dieci punti, in cui esaltava le sue capacità in ingegneria militare, idraulica e architettura, aggiungendo di saper anche dipingere qualcosina. Ma fu proprio la pittura a convincere il Moro: gli commissionò la Dama con l’Ermellino, vale a dire il ritratto di una sua amante. La bellezza di quel dipinto lo convinse definitivamente a ingaggiare Da Vinci che regalò a Milano un’epoca d’oro».
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