IN TRIBUNALE
Varese, insulti alla matrigna. «Mi scuso»
Papà non la mantiene più, la figlia accusa la nuova moglie

«Ho sbagliato, ho reagito in maniera esagerata». Si è scusata pubblicamente, nell’aula del Tribunale, la ventinovenne varesina finita a processo con l’accusa di diffamazione aggravata nei confronti della matrigna, offesa con alcuni post su Facebook perché ritenuta colpevole della decisione del padre di non versarle più l’assegno di mantenimento. Decisione avallata dal giudice civile e che ha scatenato la rabbia social della ragazza. Che ora ha ottenuto la messa alla prova: dovrà svolgere un periodo (novanta ore) di lavori di pubblica utilità, al termine del quale potrà ottenere l’estinzione del reato e l’assoluzione.
«Ti sei presa tutto, ti sei fatta intestare anche le mutande». Queste alcune delle frasi finite sulla sua bacheca on line - insieme con insulti non solo alla matrigna ma anche ai giudici che le hanno tolto il sussidio mensile - che hanno convinto la seconda moglie del padre a denunciarla. Frasi di cui ora si è pentita, tanto da scusarsi in un’aula di giustizia. Scuse pubbliche, con parole di «stima e rispetto» per la donna finita nel mirino, che vanno a sommarsi a «quelle che le ho già fatto più volte in forma privata», ha continuato la giovane, spiegando di soffrire di «un disturbo alimentare indotto da questa situazione familiare».
«Sono nullatenente», ha poi precisato la figlia del professionista varesino che si era rivolto alla magistratura civile per ottenere la revoca dell’obbligo di mantenimento della ragazza, nata dal primo matrimonio, con un assegno stabilito in sede di separazione. Non è più una bambina - questa la tesi del genitore -, ha quasi trent’anni e quindi il dovere di mantenerla non sussiste più. Tesi che ha convinto il magistrato che ha quindi decretato la “chiusura dei rubinetti”.
Una situazione economica, quella della 29enne che non si è ancora laureata e non ha fonti di reddito, che è stata evidenziata anche dal suo difensore, l’avvocato Maurizio Domanico. Il quale aveva manifestato la disponibilità a una lettera di scuse da considerare alla stregua di un risarcimento in forma morale. Ipotesi contestata dal legale di parte civile (l’avvocato Francesca Cantorelli) che ha sottolineato come il risarcimento del danno sia uno dei requisiti per accedere alla messa alla prova. E il giudice Luciano Luccarelli ha detto sì alla sospensione del procedimento penale e ai lavori di pubblica utilità, ordinando però che la ragazza versi un indennizzo di duecento euro alla parte offesa.
L’udienza è stata poi rinviata a luglio del prossimo anno per la verifica del programma di trattamento, che deve essere definito dall’Ufficio di esecuzione penale esterna e che prevede attività nel campo socio-sanitario, nella protezione o nella tutela del patrimonio ambientale o culturale. Poi, salvo sorprese, il reato sarà dichiarato estinto e l’imputata sarà assolta.
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