TRIBUNALE
Rivolta in carcere: «I detenuti cercavano un pretesto»
La testimonianza del comandante della polizia penitenziaria: «Da giorni i detenuti cercavano una scusa creare scompiglio»

Tutto nacque da un diverbio tra un ispettore della polizia penitenziaria e un detenuto, con il secondo che chiese al primo di sistemare la tv della cella e l’altro che rispose: «Oggi non è possibile, verrò domani». «Scoppiò un battibecco, il detenuto apostrofò l’ispettore e fu portato in ufficio, dove restò 29 secondi, come fu poi accertato grazie alle telecamere. Ventinove secondi in cui, secondo le sue dichiarazioni, sarebbe stato massacrato di botte. Ma non aveva un segno, un livido: era una messinscena».
Parola del comandante della Penitenziaria ai Miogni, Alessandro Croci, sentito come testimone ieri, lunedì 19 febbraio, nella prima udienza del processo per la rivolta nella casa circondariale del 22 gennaio 2021. Alla sbarra davanti al giudice Luciano Luccarelli, con l’accusa di danneggiamento aggravato, ci sono sei dei 28 carcerati, tra italiani e stranieri, che devastarono la struttura di via Felicita Morandi; gli altri sono usciti di scena nel maggio scorso, con patteggiamenti e condanne in abbreviato davanti al gup Anna Giorgetti.
LA DEVASTAZIONE
Proprio la notizia del presunto pestaggio scatenò la rabbia degli ospiti del carcere, che - usando le gambe dei tavoli o pezzi di ringhiere in ferro a mo’ di spranghe - spaccarono celle, videocamere, cancelli, citofoni, telefoni, persino il box agenti. «In poco tempo distrussero tutto l’impianto di illuminazione. Poi con gli idranti l’acqua andò da tutte le parti, scattarono i salvavita e il primo e il secondo piano rimasero senza luce. Ma erano giorni che i detenuti cercavano un pretesto per creare scompiglio. Il clima era arroventato, c’erano stati due decessi, uno per suicidio, l’altro per cause naturali, che erano stati strumentalizzati», ha proseguito Croci. Il quale chiese il supporto a carabinieri e polizia di Stato in assetto antisommossa per riportare l’ordine.
I RIENTRI D’EMERGENZA
Quel giorno né il comandante, né la direttrice, Carla Santandrea, erano in servizio, ma entrambi rientrarono alla luce dell’emergenza. «Mi dissero che stavano devastando tutto. E quando sono arrivata l’istituto era al buio», ha ricordato Santandrea. La quale dispose accertamenti per «verificare le eventuali responsabilità del detenuto, che lamentava di essere stato picchiato, e dell’ispettore, poi sottoposto a procedimento disciplinare, concluso con la sanzione della pena pecuniaria di un terzo dello stipendio mensile». Prossima udienza a luglio.
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