LA REPLICA
«Serial killer? Illazione oltraggiosa»
L’avvocato della famiglia Macchi contesta le parole della criminologa della difesa di Stefano Binda: «Nessun rispetto per la memoria di Lidia»

La famiglia Macchi è «esterrefatta» e usa toni forti anche l’avvocato Daniele Pizzi, il legale che la assiste ormai da anni nella ricerca della verità sulla morte di Lidia, avvenuta nel 1987. Sono reazioni all’intervista, pubblicata dalla Prealpina, alla criminologa Ursula Franco, consulente della difesa di Stefano Binda, che per il delitto è stato condannato all’ergastolo. E sono reazioni che dipingono come mere supposizioni, destituite di ogni fondamento, le conclusioni a cui è giunta Franco: l’omicidio sarebbe stato commesso da un assassino seriale, non ci sarebbe alcun movente di natura sessuale, Binda sarebbe vittima di un errore giudiziario.
«Macché serial killer! Questa è soltanto un’illazione bella e buona, e dire che "il nome dell’assassino di Lidia non è agli atti" non è altro che l'ennesimo oltraggio alla sua memoria!», esclama infatti Pizzi: «L’unica cosa che ad oggi conta è la sentenza della Corte di Assise di Varese. Ed è soltanto rispettando questa sentenza che si rispetta la memoria di Lidia».
Il legale parte da considerazioni legate alla dinamica del processo, nell’ambito del quale si attende la fissazione del giudizio d’appello: «La famiglia Macchi è rimasta esterrefatta dinanzi alle esternazioni della dottoressa Ursula Franco a proposito della morte di Lidia - spiega il legale -, dal momento che il nome di questa dottoressa non è mai entrato in nessun atto processuale e in nessuna aula giudiziaria. Inoltre mi sorprende leggere che nel processo di appello la difesa di Stefano Binda utilizzerà la consulenza della dottoressa Franco: il suo nome non è stato citato neanche una volta nell’atto di impugnazione presentato nei mesi scorsi!».
Nel merito, poi, il rifiuto delle tesi della criminologa è totale: «Ad ogni buon conto - continua Pizzi -, a Cittiglio non c’è mai stato nessun serial killer e ad uccidere Lidia è stata una persona che lei conosceva bene, come sentenziato dalla Corte d’Assise di Varese che ha condannato Binda all’ergastolo. Quanto sostenuto dalla dottoressa Franco cozza totalmente con quanto riconosciuto anche da tutti gli altri giudici che si sono pronunciati sinora, ovvero il Gip di Varese nonché il Tribunale del Riesame di Milano e la Suprema Corte di Cassazione di Roma, quando decisero sulla richiesta di scarcerazione di Binda, stabilendo che sarebbe dovuto rimanere in carcere».
Ursula Franco ipotizza che Lidia abbia avuto un rapporto sessuale non la sera del 5 gennaio, ma nel pomeriggio. E di nuovo l’avvocato Pizzi va all’attacco: «Dire che "nessuno ha mai approfondito i movimenti di Lidia e di altri di quel pomeriggio” è una scorrettezza bella e buona nei confronti di tutti gli sforzi investigativi profusi dalla Procura Generale di Milano per circostanziare al meglio le ultime ore di vita di Lidia. Mi si accappona la pelle leggendo che “Stefano Binda è la vittima ideale di un errore giudiziario”: questo significa voler screditare a tutti i costi l’operato attento e meticoloso della Corte d’Assise di Varese nel processo che ha portato alla condanna di Stefano Binda».
Infine, i dubbi della famiglia sulla “competenza” della criminologa: «Quelle che, a questo punto, sarebbero da approfondire sono le competenze specifiche della dottoressa Franco, che a me risulta abbia fatto un dottorato di ricerca in neurofisiopatologia e si sia sinora occupata solo e soltanto del caso di Elena Ceste: peraltro, interrogata sulle sue capacità professionali dal pm di quel processo, ha risposto di non essere un medico legale, di non avere alcuna esperienza in materia di tossicologia, né di avere esperienza in tema di rinvenimento di resti scheletrici».
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