LA SENTENZA
Picchiava la moglie: va in galera
Varesina dodici volte in ospedale. Tunisino condannato anche in Appello

Marito violento prende tre anni di reclusione dopo che per dodici volte aveva mandato la moglie all’ospedale. Tanti infatti sono stati gli “accessi” al pronto soccorso dell’ospedale di Circolo, tra il 2013 e il 2018, di una malcapitata varesina, vittima di una sorta di maltrattamento sistematico da parte di un tunisino, oggi trentanovenne, col quale è stata sposata per qualche anno.
Le botte, gli schiaffi, i pugni e i calci subiti anche fino a quattro volte a settimana per oltre un lustro (così emerge dalle carte processuali) hanno determinato non pochi traumi cranici e svariate fratture: dal naso alla mandibola passando per le ossa dei piedi e delle mani.
Per anni, la donna, parzialmente invalida, cardiopatica e di una dozzina d’anni più grande, ha subito le prevaricazioni di quell’uomo, che la usava come un bancomat per pagare le spese e i suoi vizi e per avere un tetto sotto cui stare.
Alla fine, la poveretta non ce l’ha fatta più. Di ritorno da un soggiorno da un monastero di clausura, dov’era andata in cerca di requie, si era ritrovata di nuovo in casa il suo personalissimo incubo. Sempre più ingestibile e, soprattutto, sempre più violento.
Per questo, chiese aiuto alle forze dell’ordine. Che nel maggio di un anno fa intervennero per sottrarre la donna dalla furia dell’ex marito, arrestato in quell’occasione per maltrattamenti e lesioni aggravate e continuate.
Da allora A.M. non ha più lasciato i Miogni. In primo grado, il tunisino, con precedenti penali, ha incassato una sentenza di condanna in abbreviato a tre anni e quattro mesi di reclusione. La pena è stata confermata ieri, martedì 3 aprile. dalla prima Corte d’Appello del capoluogo lombardo.
Senza risultato il tentativo difensivo di far ricadere sulla vittima la colpa di qualche litigio. Litigio che poi aveva innescato l’irosa e manesca ritorsione del nordafricano. Incredibile, ma vero, in uno scritto la donna ha dato la disponibilità a riaccogliere a casa l’uomo, con il quale dice di essersi riappacificata.
Tuttavia, la Corte ha respinto l’istanza.
Niente arresti domiciliari a casa della donna, dunque. Una scelta logica e obbligata alla luce di quel che è successo.
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