IN CELLA
Varese, osso di bistecca come arma in carcere
Detenuto dei Miogni indagato per porto di oggetti atti ad offendere. Come nel film “Giustizia privata”

Nel frigorifero della cella conservava l’osso di una bistecca. Un avanzo apparentemente innocuo, ma che la Procura della Repubblica considera potenzialmente in grado di far male a qualcuno. Al pari di un coltello o di un taglierino.
Per questo al detenuto viene contestato il reato di “porto di armi od oggetti atti ad offendere”, una contravvenzione che la legge 110 del 1975, quella sulle armi, le munizioni e gli esplosivi, punisce con l’arresto da un mese ad un anno.
Una storia che richiama alla memoria dei cinefili più attenti la trama di un film del 2009, “Giustizia privata”, con Gerard Butler e Jamie Foxx. Pellicola in cui il protagonista utilizza proprio l’osso di una braciola per accoltellare il proprio compagno di cella, e per questo viene messo in isolamento.
Per fortuna nella storia avvenuta nella casa circondariale di via Felicita Morandi non siamo arrivati al fatto di sangue, ma evidentemente, vista l’accusa mossa all’uomo (detenuto per rapina), gli inquirenti ritengono che quell’osso, particolarmente tagliente, potesse servire a scopi tutt’altro che pacifici. E quindi sono intervenuti preventivamente, sequestrando quello che viene ritenuto una “arma da taglio”.
La vicenda risale alla scorsa primavera, quando gli agenti della polizia penitenziaria del carcere dei Miogni effettuarono una perquisizione nelle celle. E in quella di un quarantacinquenne varesino trovarono i resti di una bistecca che evidentemente il detenuto aveva mangiato poco tempo prima.
Ma perché custodire quell’osso destinato a finire nel cassonetto dell’organico? L’indagato, interrogato dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, si è giustificato dicendo che lo usava per cucinare, come se fosse un coltello, utile ad esempio per affettare le verdure.
Una versione che non ha convinto gli inquirenti, tanto che nei giorni scorsi il 45enne (difeso dall’avvocato Fabio Fiore) ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini; ora ha venti giorni di tempo per presentare memorie, produrre documenti o chiedere altre indagini. Poi la parola tornerà al pm.
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