IL PROCESSO
Lo psichiatra accusa Binda
Il perito: l’imputato si bucava, non poteva essere a Pragelato. La difesa: supposizioni personali. Sentenza entro il 24 aprile

L’istruttoria è finita e per il processo a carico di Stefano Binda per l’omicidio di Lidia Macchi del 5 gennaio 1987 si apre ora la fase della discussione finale. La sentenza - ha detto ieri, martedì 20 febbraio, il presidente della Corte d’Assise Orazio Muscato (affiancato dalla collega Cristina Marzagalli e da sei giudici popolari) - dovrà arrivare entro il 24 aprile 2018, non un giorno più tardi, e di qui il calendario confermato nel pomeriggio di ieri.
Il prossimo 28 marzo il rappresentante della pubblica accusa, il sostituto procuratore generale di Milano Gemma Gualdi, terrà la sua requisitoria, cui seguirà nella stessa giornata l’intervento del legale di parte civile, l’avvocato Daniele Pizzi, a nome della famiglia Macchi.
Il 13 aprile giornata interamente dedicata ai difensori di Binda, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli. E il 20 spazio ad eventuali repliche: se non ce ne saranno la Corte d’Assise entrerà subito in camera di consiglio, e in caso di problemi di qualsiasi tipo resterà comunque un’altra data a disposizione, quella appunto del 24 aprile.
Ieri, gran parte dell’udienza è stata occupata dall’esame dello psichiatra Mario Mantero, consulente della Procura generale di Milano, che dall’inizio dell’anno ha incontrato quattro volte Stefano Binda nel carcere di Busto Arsizio, e ha redatto quindi una relazione di quasi 40 pagine.
Per lo specialista l’esperienza della tossicodipendenza è stata «centrale» nella vita dell’imputato, dato che l’esistenza di Binda è stata «segnata profondamente dall’eroina» a partire dai 17 anni, in seguito anche in combinazione con la cocaina. Mantero, sulla base della documentazione e in particolare di quanto scritto da un tenente medico che visitò Stefano negli Anni Novanta, quando era ospite della comunità di recupero “Pinocchio”, in provincia di Brescia, retrodata l’uso della siringa da parte del giovane alla fine degli Anni Ottanta, in netto contrasto con quanto dichiarato dall’interessato («La fumavo, fino al 2005 non mi sono bucato»).
Di qui una conclusione dello psichiatra che conferma l’ipotesi accusatoria della falsità del presunto alibi di Binda (la vacanza a Pragelato dall’1 al 6 gennaio 1987).
«Dato che il periziando utilizzava eroina per via endovenosa due-tre volte la settimana, trovo inverosimile che in montagna possa essere stato una settimana senza assumere lo stupefacente, come ha dichiarato: lì condivideva la quotidianità con altri ragazzi ed è decisamente difficile che possa aver trovato spazi e tempi per drogarsi: se una persona assume eroina dentro un gruppo, lo noti».
Solo «supposizioni» per i difensori, che hanno chiesto a Mantero come Binda abbia potuto partecipare allora a numerose altre vacanze in quegli stessi anni con CL. «Mi risulta che le altre fossero vacanzine - è stata la risposta -, al massimo di due-tre giorni».
Lo psichiatra ha quindi concluso con una diagnosi finale di psicopatia.
«Binda ha un disturbo della personalità - ha detto - a cavallo tra il narcisismo e l’antisocialità. Sul piano superficiale appare affabile e loquace, piacevole e seducente, ma non ha capacità e volontà relazionali, ha poco interesse per gli altri e tendenza alla superiorità, alla menzogna compulsiva e alla manipolazione. Il suo è un quadro lontano dalla normalità e del resto a grandi potenzialità dal punto di vista intellettuale non è seguita una finalizzazione dell’esistenza», ovvero, in parole povere, prometteva molto ma ha combinato poco.
Questo disturbo, inoltre, all’epoca del delitto «poteva incidere sulla sua capacità di intendere e di volere, non in assoluto ma a certe condizioni, in situazioni di stress».
Altro tema toccato dallo psichiatra, la «doppia vita» di Binda, «elemento centrale della sua esperienza esistenziale, tra un «ambiente doveristico come quello di CL, con regole morali e religiose, e la piazza dove si spaccia, l’ambito della tossicodipendenza, della trasgressione, della marginalità. Ambiti incompatibili, certo, ma va detto che da CL Binda ha avuto vantaggi e aiuti consistenti, anche perché non veniva da una famiglia abbiente».
Infine, il rapporto con le donne: «Quando una donna si avvicina e oltrepassa un punto di sicurezza - ha spiegato il consulente psichiatrico dell’accusa - Binda si allontana e si innervosisce. Così sono andate le cose, ad esempio, con Patrizia Bianchi: quando si avvicinò troppo, Binda troncò il rapporto con lei».
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