IL PROCESSO
«Il pm ha lasciato dubbi. Ribatteremo»
Omicidio Macchi, i difensori di Binda: «Ergastolo? Richiesta prevedibile. Piuttosto parliamo del movente»

La richiesta dell’ergastolo avanzata dal pm Gemma Gualdi non li ha spiazzati affatto.
«Anzi, viste le udienze precedenti, ce l’aspettavamo. Ma vedremo più avanti».
I difensori di Stefano Binda, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, incassano il colpo e si preparano alla contromossa. La prossima udienza del processo sull’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa uccisa a coltellate nel gennaio del 1987 sopra Cittiglio, è fissata per il 13 aprile, quando parlerà la parte civile, rappresentata dall’avvocato Daniele Pizzi, mentre il turno della difesa sarà una settimana dopo. E proprio per quel giorno gli avvocati dell’imputato preannunciano battaglia.
«Il pm ha lasciato molti dubbi - rimarcano i due legali - e noi abbiamo molti aspetti a cui controbattere. Di certo, comunque, la richiesta della condanna all’ergastolo non ci ha stupito».
Dal canto suo, Paola Bettoni, madre di Lidia, mercoledì 28 marzo, al termine dell’udienza si era limitata a commentare che «ora spetta al Tribunale dire se deve essere condannato o meno, aspettiamo la sentenza».
Mentre l’avvocato Pizzi, legale della famiglia Macchi, aveva affermato di «sperare sempre che Binda prima della sentenza si decida a parlare. Dato che si professa innocente che parli e dica tutto quello che sa, a costo di tirare in ballo altre persone, seppur di alto rilievo sociale».
Il processo dinanzi alla Corte d’Assise del Tribunale di Varese, presieduta dal giudice Orazio Muscato (a latere Cristina Marzagalli), si appresta dunque alle battute finali.
Mercoledì il sostituto procuratore generale di Milano ha parlato per circa sei ore, fornendo una lunga ricostruzione delle principali tappe delle indagini sulla morte della studentessa di Casbeno: un fascicolo riaperto nel giugno 2015 dall’allora sostituto pg Carmen Manfredda e culminato nell’arresto del cinquantenne di Brebbia, il 15 gennaio dell’anno successivo.
La richiesta di condanna all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e da motivi abbietti e futili è stata la conclusione di un’articolata requisitoria, in cui l’imputato è stato descritto «come dottor Jekyll e mister Hyde», come una persona colta, ma pure un «tossico» che racconta «una montagna di bugie» e non sa controllare le sue emozioni per un disturbo borderline della personalità.
Rivolgendosi a giudici togati e popolari, il pm Gualdi ha anche “giocato d’anticipo”, ipotizzando l’arringa dei legali di Binda.
«Questo è un processo indiziario - ha detto -: i difensori vi diranno che la prova non è stata raggiunta - ha aggiunto la rappresentante della pubblica accusa - e che contro l’imputato ci sono solo suggestioni, interpretazioni maliziose di casualità o di elementi inesistenti. Non è così: non si tratta di mere congetture, ma della valutazione unitaria di numerosissimi indizi univocamente concordanti, per i quali non esiste una possibile lettura logica alternativa».
Resta però l’interrogativo del movente.
«Il reato non fu premeditato e ci fu un dolo d’impeto - ha aggiunto Gualdi - ma non so dirvi che cosa sia successo in quello spazio di tempo: possiamo ipotizzare una iperreattività dovuta alla vicinanza di una donna o un’emozione incontrollata e violenta per il senso di colpa che segue al “peccato” appena compiuto (poco prima di essere uccisa, Lidia ebbe il suo primo rapporto sessuale, ndr). Ma mi rendo conto che c’è un’enorme sproporzione tra questo movente e l’omicidio».
E probabilmente questo sarà uno dei punti fondamentali su cui la difesa dell’imputato lavorerà per scardinare la ricostruzione dell’accusa.
Per il momento però gli avvocati di Binda non si sbilanciano, limitandosi a commentare che «abbiamo molti punti su cui controbattere».
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