DELITTO MACCHI
«Prima dell’omicidio, lo stupro»
La ricostruzione in aula di Daniele Pizzi, legale della legale della famiglia: «Stefano Binda violentò Lidia e poi l’uccise. Merita l’ergastolo». Chiesto un risarcimento parziale di mezzo milione di euro per ognuno dei tre famigliari della vittima

Non è stata una fuga d’amore. La sera del 5 gennaio 1987 Lidia Macchi fece un incontro all’apparenza casuale nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio e a chiederle un passaggio fu qualcuno che conosceva, di cui si fidava. Un uomo che di lì a poco l’avrebbe violentata minacciandola con un coltello e poi l’avrebbe uccisa. E quell’uomo è Stefano Binda. Queste le conclusioni del legale della famiglia Macchi, l’avvocato Daniele Pizzi, al processo a carico del cinquantenne di Brebbia davanti alla Corte d’Assise di Varese per il delitto di 31 anni fa.
L’avvocato Pizzi ha espresso la gratitudine della famiglia Macchi (presente in aula come sempre mamma Paola) per i pm e i giudici che hanno cercato e cercano la verità. Si è associato alla richiesta della pubblica accusa per una condanna dell’imputato all’ergastolo, ma per quanto riguarda il movente ha proposto una versione alternativa della vicenda: nessun rapporto sessuale tra persone consenzienti e innamorate, e invece quella violenza sessuale che all’inizio era stata la stessa accusa a ipotizzare, con l’omicidio che diventa “�necessario” per �coprire� lo stupro appena compiuto. Contro Binda, ha detto ancora l’avvocato Pizzi, ci sono numerosissimi indizi gravi, precisi e concordanti, che portano univocamente alla sua colpevolezza. Richiesto alla Corte un primo parziale risarcimento pari a 500.000 euro per ognuno dei familiari: oltre alla mamma, la sorella Stefania e il fratello Alberto.
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