PICCOLOMO
«Ho visto la Volvo parcheggiata nel prato»
Un teste demolisce il racconto del presunto incidente. Ma è un pregiudicato. La testimonianza dell’assicuratore

Colpo di scena, con qualche dubbio subito dopo. Nel corso della quarta udienza del processo a Giuseppe Piccolomo, accusato davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato di aver ucciso la prima moglie Marisa Maldera nel 2003, simulando un incidente stradale seguito dall’incendio dell’auto, c’è stata una testimonianza potenzialmente molto importante per il pm Maria Grazia Omboni.
Ma subito dopo, quando a interrogare il teste è stato il difensore di Piccolomo, l’avvocato Stefano Bruno, è saltato fuori che l’uomo ha avuto guai con la giustizia per truffa e sequestro di persona, che è stato un informatore della polizia e che è stato prosciolto in un processo perché ritenuto incapace di intendere e di volere. Un testimone attendibile, dunque? Impossibile dirlo al momento: forse sarà dirimente l’esame della fidanzata del testimone, che era con lui quando entrò per caso in questa storia terribile.
L’uomo ha raccontato infatti che nella notte in cui Marisa morì nel rogo dell’auto dei Piccolomo stava tornando a casa dopo un turno di lavoro alla Whirlpool, appunto in compagnia della sua fidanzata dell’epoca. «Tra Gemonio e Caravate - ha riferito il teste - feci una curva e illuminai con i fari un’altra auto che era ferma a luci spente in un prato. Era una Volvo station wagon e sembrava parcheggiata: pensai che dentro ci fosse una coppietta che si era appartata. A fare la curva impiegai circa quattro secondi e anche nello specchietto retrovisore non vidi nulla di strano. Il giorno dopo seppi quello che era accaduto, dell’incendio e della morte di una donna in quel prato, e scoprii che la Volvo bruciata era nello stesso punto dove avevo visto la Volvo parcheggiata».
In base a questa testimonianza, dunque, il racconto di Piccolomo di un incidente stradale, della Volvo che va fuori strada e piroetta, della benzina sparsa nell’abitacolo che s’incendia a causa di una sigaretta fumata da Marisa, andrebbe totalmente in pezzi. «Ha visto quell’auto bruciare?», è stato chiesto ieri al testimone. «No - è stata la risposta - non ho visto nessun incendio e nessun bagliore: del resto, se avessi visto qualcosa del genere, mi sarei fermato immediatamente».
Poco dopo i fatti il testimone parlò con un maresciallo dei carabinieri di quello che aveva visto, ma il militare l’avrebbe invitato a «non dare ascolto alle voci: quello è stato un incidente». E la circostanza riferita in aula sarebbe saltata fuori di nuovo, nel corso delle indagini bis sulla morte di Marisa Maldera, durante un colloquio dell’uomo con il comandante della Polizia locale del Medio Verbano Manuel Cinquarla.
A favore della difesa di Piccolomo, invece, la testimonianza di un assicuratore che ha ricostruito la storia di una polizza sulla vita di Marisa, ritenuta dall’accusa un movente dell’omicidio insieme all’infatuazione di Pippo per la cameriera marocchina del ristorante, poi diventata sua moglie. Il testimone ha spiegato che l’assicurazione liquidò a Piccolomo, per tutti gli eredi, poco più di 116.000 euro dopo il decesso della moglie. La polizza fu stipulata nel gennaio 2002 e già allora prevedeva un capitale triplicato in caso di morte per sinistro stradale, mentre nel febbraio 2003, pochi giorni prima del presunto incidente, fu aumentato solo il premio mensile, con corrispondente aumento del capitale base da 32 a 38.000 euro. E non è nemmeno certo che si sia trattato di un’iniziativa di Piccolomo. Particolare singolare: evidentemente l’assicurazione rimase all’oscuro del patteggiamento del marito della defunta per omicidio colposo. «Se l’avessimo saputo, non ci sarebbe stata nessuna liquidazione», ha detto il testimone.
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