IL PERSONAGGIO
Locatelli, da chef a Masterchef
Il cuoco stellato di Corgeno nuovo giudice della seguitissima trasmissione di Sky

È Giorgio Locatelli da Corgeno di Vergiate il nuovo giudice dell’ottava edizione di Masterchef, in onda il giovedì in prima serata su Sky Uno. Ha sostituito Antonia Klugmann e affianca Bruno Barbieri, Joe Bastianich e Antonino Cannavacciuolo.
Giorgio Locatelli è personaggio celebre a Londra, dove ha sede il suo pluripremiato ristorante “Locanda Locatelli“, una vera istituzione sotto il Big Ben potendosi fregiare di una stella Michelin.
Nonostante lo spessore acquisito, Giorgio Locatelli è comunque rimasto il simpaticone che molti hanno conosciuto a Corgeno, quando aiutava la famiglia a “La Cinzianella” sulle rive del lago di Comabbio fino al 1985: l’anno dopo si trasferì a Londra, assunto come sbucciatore di verdure al “The Savoy”: una gavetta durata quattro anni.
Dopo la prima esperienza londinese, la Francia dove lavorò con i suoi miti di allora, al “Laurent” e al “Tour d’Argent” a Parigi. Ma non fu un’esperienza facile, tanto che, demoralizzato, ritornò a Corgeno addirittura pensando di cambiar professione.
Poi la svolta: una telefonata da Londra lo chiama al mitico “Olivo”: farà l’head chef.
Nel 1995 apre lo “Zafferano” che diventerà il primo ristorante italiano a Londra a conquistare una Stella Michelin. Infine, insieme con la moglie Plaxy, si sposta alla “Locanda Locatelli”, dove crea il suo piccolo regno italiano.
«Ricordo benissimo, primi Anni ‘90 - racconta lo stesso Locatelli -. Ero con amici in corso Matteotti a Varese, da Zamberletti, davanti a ottimi e grandissimi marrons glacés. In quell’istante c’è venuta voglia di scrivere un menù con tutte le nostre idee. Improvvisamente è scoccata una scintilla che ha spazzato via tutta la delusione francese e mi ha riempito di entusiasmo, un momento in cui mi è tornata la voglia di fare questo mestiere in maniera emozionale».
Ma davvero voleva piantarla lì con la cucina?
«Ero convinto di non essere un cuoco come quelli della mia esperienza parigina. La delusione era stata sotto il profilo umano: non volevo diventare come loro. Ma per fortuna quando si è giovani si ha sempre una grande energia che spinge avanti, oltre tutte le delusioni».
Corgeno è un luogo che ha sempre avuto nel cuore...
«Sicuramente Corgeno è con me ancora adesso, c’è la mia storia con la mia famiglia che mi ha dato basi solide. E mi porto dietro anche i sapori del lago e del suo territorio: mangiare un risotto col pesce persico in un locale del Lago Maggiore è ancora un’esperienza che rifaccio volentieri. Ci sono piatti locali che possono stupire».
Che cosa ha mantenuto del Varesotto nei suoi piatti londinesi?
«La tradizione imparata dai miei nonni, dalla mia famiglia, che mi ha permesso di lavorare alla ricerca della rivalutazione del prodotto locale, quando per anni la cucina è stata codificata solo per fasce nazionali, facendo un grande favore alla cucina francese. Invece la cucina regionale italiana è una miniera d’oro. Bisogna studiare, fare un grande lavoro di ricerca per realizzare un piatto che contenga anche una storia da raccontare, magari quella di una piccola provincia italiana che per un attimo diventa un’eccellenza a Londra».
Anche grazie a lei a Londra la cucina italiana non è più solo pizza e spaghetti...
«Anche grazie a Internet si può far circolare un’informazione corretta. A Londra se servo un risotto, il cliente non chiede più se è una ricetta italiana, ma chiede di dove sia originario, in Italia, perché vuole saperne di più, così magari scopre che è del Lago Maggiore, quindi la regionalità del piatto comincia a essere presa in considerazione».
La sua è una cucina tradizionale ma anche molto attenta alle novità, con una ricerca sugli ingredienti di tutto il mondo.
«Se il risotto, tanto per restare in tema, è un atto d’amore, non posso tuttavia importare facilmente tutti i prodotti che vorrei, come il pesce persico. Così mi rivolgo ad altre tradizioni. Ogni settimana propongo risotti diversi: in questo periodo lo stiamo facendo di lepre dello Yorkshire con gli amarelli della Calabria, altre volte con delle cappesante irlandesi innaffiate di prosecco. Dietro i miei piatti c’è un ragionamento, oltre alla qualità dell’ingrediente che, per quanto possibile, importo dall’Italia».
Com’è la vita ai fornelli avendo a che fare sovente con celebrità e persone importanti?
«È vero, da noi vengono molte personalità, ma non bisogna mai dimenticare che la nostra missione è fare da mangiare bene a chiunque. Riuscirci mi riempie il cuore e mi rasserena».
Corgeno per lei non è solo il ricordo di un apprendistato in cucina...
«Da piccolo stavo con nonno Mario e nonna Vincenzina: mi insegnavano a cucinare, ma non solo. Ho appreso da loro quei valori che mi porto ancora dietro: il sacrificio, il valore del risparmio, la fiducia nelle proprie capacità, utilissima quando ho dovuto rialzarmi. Ancora oggi mi ritornano in mente le loro parole e le sento sempre molto vere. E poi a Corgeno ci torno. Vado a trovare mamma Pinuccia, passeggio sulle rive del Lago di Comabbio, assaggio gli amaretti di Gallarate di mio zio Renato Gnocchi, di Caiello, che ho esportato a Londra, dove hanno avuto un successo incredibile».
Mamma Pinuccia sarà al settimo cielo ora che lei è giudice di Masterchef.
«Lei sì e pure io. È un onore essere stato scelto per questo ruolo. Ho accettato subito. Penso che la mia partecipazione sia anche una specie di compenso anche per tanti cuochi come me che hanno portato in giro per il mondo la cucina italiana. Qui a Masterchef nutro grande rispetto, oltre che per i miei colleghi giudici, anche per i concorrenti. In loro riconosco la voglia di realizzare un sogno ma soprattutto una grande passione che li porta a migliorarsi ogni giorno. Ed è bello vedere rappresentate quasi tutte le regioni d’Italia con le rispettive culture culinarie».
Non è così scontato diventare un bravo cuoco...
«Siamo molto esigenti e duri non a caso. Il nostro mestiere non è mai stato facile e ancor più oggi perché le attese sono sempre più elevate. Un bravo cuoco non deve solo saper far da mangiare bene ma deve saper innovare e comunicare ed essere sempre aggiornato sui prodotti migliori: solo così si possono ottenere grandi piatti».
Qual è stata la sua più grande soddisfazione professionale?
«La stella Michelin a Londra, nel 1998/’99, dopo vent’anni di lavoro: è stato come vincere un Oscar».
E che direbbe a chi le consigliava di restare a Corgeno invece di andare a Londra?
«Che sono felice. Dove vai che qui c’è un paesaggio da cartulina, mi dicevano. Discorsi fatti più che altro per consigliarmi che era meglio lavorare in paese dove ne avevo già l’opportunità. Non c’era bisogno di andare via, che motivo c’era di lavorare lontano e di ritornare due volte l’anno. Ma chi te lo fa fare? Tutti consigli utili ma avevo un sogno fin da quando frequentavo la scuola alberghiera: sentivo che per realizzarlo avrei dovuto andare lontano».
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