LIVE
A Varese la rivoluzione dei Negramaro
Ripartito da Taranto il 5 maggio, il tour dei Negramaro si ferma a Varese, al Palawhirpool, domenica 15 maggio. Al centro del nuovo, fortunato viaggio della rock band di Lecce ci sono le canzoni dell’album «La rivoluzione sta arrivando», pubblicato lo scorso settembre e ripensato per la versione dal vivo con l’aiuto di un impianto scenografico degno di un grande show, con avatar e altri effetti speciali legati alla grafica che accompagna l’album. Grafica come sempre ideata e realizzata dal bassista del gruppo, Ermanno Carlá.
«È da quindici anni che lavoriamo perché i nostri concerti non siano solo un karaoke - ha detto il leader Giuliano Sangiorgi - e spesso i momenti più belli dei nostri live nascono durante prove. In fondo ci siamo conosciuti suonando e la dimensione dal vivo per noi è fondamentale. Senza, forse non sapremmo dove prendere le energie per poi tornare in studio a scrivere canzoni». Per la scaletta del concerto i Negramaro hanno pensato anche a tanti momenti solisti. «Per me è bellissimo stare zitto e vedere che tutto funziona bene - ha confessato Sangiorgi - e per sentire i cambiamenti che la band ha fatto in tutti questi anni basterebbe ascoltare i nostri dischi senza la mia voce. Sono tutti diversi tra loro».
Cento per cento Negramaro è il sapore dell’ultimo, «La rivoluzione sta arrivando», registrato «in stato di grazia» tra la Puglia e Londra, Madrid, New York e Nashville, con orchestrazioni potenti, canzoni fluide, momenti di altissima emozione, ora barocche, ora scarne. Ne abbiamo parlato con Giuliano Sangiorgi, la bella voce e lo scrittore generoso, autore di testi interessanti, romantici, sempre frutto di una cura speciale.
Sangiorgi, «La rivoluzione sta arrivando» è un’esortazione ad alzarsi, a partecipare: a chi è dedicato l’album?
«Il disco è un’esortazione a vivere per non lasciarsi sopravvivere. Scriverlo è stato come avvertire, giorno dopo giorno, una vera e propria rivoluzione dell’anima, incessantemente in corso. È la graduale maturazione di una nuova consapevolezza: tutto è vita, anche la sua negazione. L’ho imparato sulla pelle quando ho perso mio padre. È a lui che è rivolto ogni pensiero di questo disco, perché siamo sostanza che non può sparire».
L’invito ha anche un sapore politico e sembra dire: tu c’entri, ti riguarda...
«Le canzoni sono sempre politiche, anche quando non lo sembrano. Si rivolgono a un pubblico che le ascolta, le vive, le condivide e le sostiene, mentre le urla al cielo o le sussurra al chiuso di una cameretta. Sono state, sono e saranno l’inizio di rivoluzioni importanti per ogni generazione. Si parte sempre dal piccolo, dal quotidiano, quando si sogna un nuovo mondo. Solo l’arte del sogno è davvero in grado di cominciare ogni volta nuove rivoluzioni: lo slancio vitale ha radice nel sogno del cambiamento».
Fare musica è dunque anche agire nella società, per la società.
«Penso che un disco non debba mai occuparsi di questioni squisitamente politiche, ma possa essere politico, nei propositi e nei contenuti di vita sociale, più di ogni altra testimonianza civile. Una canzone è sempre un affare sociale: scrivere una canzone, ascoltarla e condividerla è già fare politica. Raccontare ad altri il proprio punto di vista aiuta più di ogni altra cosa a trovare il proprio posto nel mondo: consente di potersi specchiare e riconoscere nei pensieri e nei valori in cui uno crede».
Nell’album ci sono speranze e sogni, ma anche disillusioni e paura. Che cosa vi preoccupa in questo momento?
«La possibile assuefazione delle nuove generazioni ai social. Sono una delle più grandi invenzioni di ogni tempo, ma nello stesso tempo hanno portato le persone quasi ad annullarsi: il mondo a portata di un clic. D’altro canto, il web ha saputo anche contribuire alla globalizzazione dei diritti, agevolando la diffusione della verità e i fenomeni di cambiamento, radicali e non. Bisogna comunque ricordarsi sempre di usare i social restando soggetti pensanti, liberi, consapevoli e mai succubi o eterodiretti».
Voi quale uso ne fate?
«Usiamo i social per comunicare cose importanti che ci riguardano. A volte, per condividere pareri, gusti musicali, cinematografici o letterari; altre, per concederci della leggerezza; altre ancora, per non dire proprio nulla. Sono ottime piattaforme per far conoscere i propri pensieri e per conoscere, in tempo reale e spesso senza filtri, quelli degli altri. Per noi sono un mezzo».
Qual è la rivoluzione dei Negramaro, che da 15 anni sono inseparabili?
«La nostra amicizia, che ha oltrepassato ogni confine immaginabile, diventando già storia e vita. Poi c’è la musica, che rispecchia perfettamente i nostri modi di essere, tanto differenti, quanto complementari. È lei a completarci, a colmare ogni nostra, eventuale, umana lacuna».
I vostri testi sono sempre molto pensati, poetici. Sentite la responsabilità di rivolgervi a così tante persone?
«Sentirsi responsabili delle proprie parole finirebbe inevitabilmente col condizionare la scrittura stessa. E, alla fine, sarebbe come prendere in giro chi decide di ascoltare i tuoi pensieri in musica. Equivarrebbe a limitare la propria libertà ancor prima di poterla di fatto esercitare».
Vi è mai accaduto di limitarvi nella scrittura?
«Solo una volta, quando abbiamo avuto paura di lasciare nella canzone Attenta la frase ti uccido in questa stanza, trasformata poi in mi uccidi in questa stanza. La drammatica attualità del femminicidio ci ha spinti a fare un passo indietro, incuranti, solo per una volta, del fatto che stessimo limitando la nostra libertà di autori. Ma l’abbiamo fatto per una giusta causa: volevamo far riflettere quante più persone possibile su questo fenomeno assurdo, cambiando la frase e soprattutto parlandone e facendo conoscere la profonda crisi che abbiamo vissuto per colpa di quello che alcuni uomini avevano osato perpetrare ai danni di altri esseri umani. Alcuni uomini non hanno ucciso solo la donna, ma anche la poesia!».
A proposito di testi, non è che finalmente svelate chi è il «verde coniglio dalle mille facce buffe»?
«No, mi spiace, il mistero rimarrà».
Voi condividete sempre ogni dettaglio dei vostri dischi, a partire dalla copertina. Come è andata questa volta?
«La copertina di un disco è un po’ come mostrare per la prima volta agli altri la propria faccia, dopo essere venuti al mondo. Per noi non è qualcosa di solo estetico e formale: è fondamentale per comprendere appieno i contenuti di un nuovo album. Ermanno Carlà riesce sempre a centrare il senso di un intero disco attraverso la scelta dell’immagine migliore per rappresentarlo. Anche in questo caso, infatti, il jolly roger, ossia il trisimbolo che campeggia sulla copertina di La rivoluzione sta arrivando, è perfetto perché racchiude e racconta i temi principali del disco: vita, morte e ironia».
Quanta Puglia c’è nelle vostre canzoni?
«Ci siamo noi con tutto quello che la nostra terra ci ha lasciato dentro: la sostanza».
Conoscete Varese?
«Varese la conosco bene, personalmente. E, come tutte le città italiane, mi affascina per la sua unicità, il suo passato, il suo patrimonio umano, storico e artistico».
Che cosa vi piace del nord Italia e che cosa invece proprio non capite?
«Cosa non capiamo del Nord? La Lega! Per il resto, il Nord è stupendo come tutta la nostra, stupenda Italia. Unita».
Domenica 15 maggio al Palawhirpool di Varese, piazzale Gramsci, ore 21, biglietti 55/40 euro, info 02.53006501, www.livenation.it.
© Riproduzione Riservata