LA SENTENZA
Abusi su bambina, maggiordomo condannato a Varese
Per l’uomo sette anni e sei mesi di carcere
Una condanna a sette anni e sei mesi di reclusione: è questa la sentenza stabilita dal Tribunale di Varese in composizione collegiale, presieduto da Cesare Tacconi, nei confronti di un cinquantenne di origine asiatica accusato di violenza sessuale ai danni della figlia dei suoi datori di lavoro.
L’uomo, infatti, era stato assunto come domestico per una villa in Valceresio. Ma, secondo le indagini della Squadra Mobile della Questura di Varese, quando restava solo con la ragazzina la costringeva a subire palpeggiamenti e strusciamenti. Abusi che sarebbero proseguiti per anni, tra il 2010 e il 2015, da quando la bambina frequentava l’ultima classe delle elementari fino all’inizio delle scuole superiori.
La Procura aveva chiesto per lui una condanna a nove anni di carcere mentre il suo difensore, l’avvocato Jacopo Arturi, ne ha invece chiesto l’assoluzione, parlando di incongruenze tra il racconto della giovane e quello di alcuni testimoni ascoltati durante il dibattimento.
Per la ragazza, oggi ventiduenne, che s’è costituita parte civile con l’avvocato Elena Camanzi, è stato fissato un risarcimento danni di 15mila euro a titolo provvisionale, con riserva di successiva causa civile.
LA VICENDA
La vicenda è venuta alla luce solo alcuni anni più tardi rispetto ai fatti, quando la ragazza si è rivolta a un medico ed è riuscita a confidare ciò che fino a quel momento aveva tenuto solo per sé. Rivelando che quando mamma e papà non c’erano, il domestico approfittava di lei. Accuse ribadite nel 2019 davanti ai poliziotti della Procura, in audizione protetta, e poi davanti ai giudici, a porte chiuse.
Abusi che sarebbe avvenuti sia a casa, sia in auto, durante gli spostamenti tra i vari impegni della ragazzina. L’uomo era infatti stato assunto come tuttofare, e quindi si occupava della pulizia della casa, della cucina, della cura del giardino, e faceva anche da autista. Una vicenda che, in aula, è stata ripercorsa anche dal padre della persona offesa, che ha ricordato quando la figlia rivelò che il domestico le aveva mostrato un video a luci rosse oppure che entrava in camera da letto e la guardava. O ancora quella volta che la ragazza si è svegliata all’improvviso in macchina con la mano dell’imputato su una coscia. Un uomo di cui la famiglia si fidava ciecamente.
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