LA DISAVVENTURA
«Arrestato in India per un telefono»
Vacanza in moto da incubo per il vicesindaco Gianluca Fidanza: «Sospettato di terrorismo per un satellitare»
Arrestato dalla polizia e sospettato addirittura di aver avuto contatti col terrorismo.
La vacanza in moto nel lontano Ladhak, una regione a Nord Ovest dell’India di Gianluca Fidanza, 49 anni, vicesindaco e assessore al bilancio di Comerio, si è tramutata in un vero incubo. E tutto solo a causa dell’acquisto di un cellulare satellitare per poter restare in contatto con la sua famiglia.
Fortunatamente, la vicenda si è conclusa positivamente e Fidanza è rientrato in Italia. ma ha ancora nelle orecchie le parole del poliziotto che all’aeroporto di Nuova Delhi gli ha sibilato terrorizzandolo: «Lei ha commesso un crimine e difficilmente potrà tornare in Italia».
Siamo nella sacrestia della chiesa parrocchiale, e prima che la messa cominci, Gianluca non può fare a meno di raccontare la sua disavventura. Con la speranza che il suo errore commesso in buona fede possa non essere ripetuto da altri.
A monsignor Emilio Patriarca, che celebrerà il rito, esterna la paura che ha ancora dentro e il bisogno che ha avuto in quel Paese lontano di rivolgersi a Dio, allora come non mai. Era, sottolinea, nella più completa disperazione. Sono frasi brevi le sue, che escono a raffica.
Era giunto in quella regione affascinante dell’India tra l’Himalaya e il Karakorum per un giro organizzato da un’associazione francese. Per mantenersi meglio in contatto con la famiglia e avere notizie del figlio che aveva subito una lieve frattura alla clavicola, aveva acquistato un satellitare di seconda mano, in quanto i normali cellulari in quella regione non funzionano.
Poi, e questa è una beffa, quell’apparecchio non l’aveva mai usato, essendo riuscito a comunicare tramite whatsapp. Purtroppo però al ritorno, giunto all’aeroporto della capitale indiana è cominciato il terrore: al controllo doganale, mentre gli oggetti personali passavano sotto lo scanner, era stato immediatamente individuato il cellulare satellitare, vietato nella regione del Ladhak, considerata a rischio terrorismo islamico.
«Mi sembrava di vivere in un sogno, in una dimensione che non so più neanche ricostruire, tanto ero terrorizzato. Avevo un’enorme paura. I poliziotti mi hanno sottoposto a sei ore di interrogatorio. Tra di loro erano presenti anche due agenti dei servizi segreti indiani. Mi hanno detto che ero accusato di un crimine grave, quello di violazione della legge sulla comunicazione».
Poi lo hanno portato in cella, accanto ad altri tre personaggi, e si è sentito perduto.
«Mi sentivo morire - continua - e pensavo solo a se avrei mai mai potuto rivedere mia moglie e i miei figli».
La salvezza è però arrivata attraverso il contatto con l’ambasciata italiana.
«Non saprò mai come ringraziare il console e l’ambasciatore per l’enorme aiuto e il sostegno morale che mi hanno dato: si sono fatti carico del mio caso, sono stato affidato alla loro custodia e ho potuto alloggiare in una guest-house di Nuova Delhi, in attesa del processo in tribunale, dove mi è stato affidato un avvocato.
Il giorno seguente, il giudice al termine dell’udienza mi ha dato una scelta: stare in prigione da tre a sei mesi e tornare a casa con il cellulare, oppure pagare una cauzione di mille rupie, pari a trentuno euro, dopo aver scritto una lettera di scuse alla Repubblica Indiana, rinunciando al cellulare, naturalmente confiscato»
«Quando mi è stato dato il foglio di scarcerazione - conclude - mi sono veramente reso conto di quanto sia preziosa la libertà».
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