L’INCHIESTA
Binda, un altro indizio
Lettera anonima ai genitori di Lidia Macchi, la sorella dell’indagato conferma in una telefonata intercettata: «Quella è la sua grafia»
Una paginetta scritta in corsivo fitto che il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda attribuisce senz’ombra di dubbio a Stefano Binda, complice la “dritta” fornita dall’ex amica Patrizia Bianchi.
A metterlo nero su bianco è stato un consulente tecnico di parte, la grafologa Susanna Contessini, che ha comparato l’anonimo con tutta un’altra serie di materiale scritto dal quarantanovenne di Brebbia, accusato di aver accoltellato a morte la studentessa di Casbeno e, per questo, da venerdì 25 novembre, destinatario della richiesta di rinvio a giudizio.
Ad attribuire la paternità dello scritto, che il diretto interessato ha sempre negato, c’è però a sorpresa anche la sorella di Binda, Patrizia.
Lo si evince da un’intercettazione “raccolta” dagli inquirenti qualche ora dopo l’arresto del 15 gennaio scorso. Parlando con un amico al telefono, la donna dice testualmente: «Adesso hanno fatto vedere la lettera eh. La calligrafia è la sua eh!... Io l’ho riconosciuta subito eh!».
E quando l’interlocutore le chiede che cosa avesse scritto, lei risponde: «Eh boh tutto un poema. Poi lui scrive bene eh».
«Sono parole che lasciano il tempo che trovano, pronunciate in un momento di forte tensione emotiva», ha tagliato corto l’avvocato Sergio Martelli, uno dei due difensori dell’indagato, prossimo imputato. Indubbiamente, però, l’intercettazione non passa del tutto inosservata.
Al contrario, parrebbe segnare un punto a favore della tesi accusatoria coltivata dalla Procura generale. Tesi che, in attesa di avere l’esito degli accertamenti scientifici legati all’incidente probatorio disposto dal gip di Varese Anna Giorgetti- previa riesumazione della salma della vittima del delitto del Sass Pinì a Cittiglio del gennaio di 29 anni fa -, è per il momento basata solo ed esclusivamente su indizi. Quali?
In primis, l’anonimo né più né meno che «la ricerca disperata di un perdono impossibile», così almeno a leggere l’interpretazione che è stata fatta in chiave neuroscientifica –e la negazione reiterata di Binda di averlo scritto.
Il poema “incriminato” andrebbe di pari passo con la gran messe di scritti autografi sequestrati all’ex militante di Comunione e Liberazione: la loro analisi offrirebbe innumerevoli collegamenti e riferimenti all’omicidio.
Omicidio, detto per inciso, effettuato con modalità, si pensi alle “raffiche” di colpi di coltello inferte alla schiena a colpi di tre, che fa pensare al profilo criminale di una persona alle prese con disturbi borderline della personalità.
Una patologia che sarebbe stata accertata dai medici della psichiatria dell’ospedale di Brescia. Altro indizio a pesare su Binda: la presunta assenza di alibi la sera in cui sarebbe avvenuto il delitto, quella del 5 gennaio del 1987. Secondo il sostituto pg Manfredda, l’indagato avrebbe offerto un alibi falso e, di sicuro, quella sera non era a Pragelato.
Infine, la presenza di una Fiat 131 bianca - guarda caso Binda risultava proprietario della stesso tipo di macchina– sul piazzale antistante l’ospedale di Cittiglio la sera della scomparsa di Lidia.
Una parente in visita a una paziente del nosocomio (nel frattempo deceduta) la avrebbe vista prima coi fari accesi e poi posteggiata. Dopodiché, la stessa testimone avrebbe visto la Panda di Lidia lasciare il parcheggio e girare, anziché verso casa, in direzione del Sass Pinì.
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