LA STORIA
Bonnie & Clyde. Col Parkinson
Due malati si trovano, s’innamorano e diventano rapinatori: la loro vicenda raccontata dal nostro compianto Mino Durand. Oggi riposano al camposanto di Cocquio Trevisago
Verso la fine del 1999 scartabellando nell'archivio del Corriere della Sera ho trovato questo pezzo pubblicato il 24 settembre 1967 a firma dell’allora inviato e cronista Mino Durand:
«Si è tristemente conclusa e nel modo più prevedibile la brevissima epopea della coppia milanese, entrambi ammalati di morbo di Parkinson, fatto questo accertato con sicurezza.
Entrambi poco più che quarantenni, apparentemente dall'aria irreprensibile ma improvvisamente abili a trasformarsi in pericolosi “gangsters” capaci di seminare il panico nelle vie del centro .
Il loro destino si è concluso ieri nei pressi di Como , dove i due, della cui identità si è ormai certi, ormai circondati dalle forze dell'ordine e senza alcuna possibilità di fuga, hanno preferito arrendersi.
La loro storia era iniziata due settimane prima, in tutt’altra atmosfera, la più grigia periferia milanese, alla Bovisa.
Lui oriundo varesino, lei milanese “doc”, impiegata. Da lì i due, a bordo di una moto giapponese sono arrivati davanti alla sede centrale della Comit, in piazza della Scala in pieno centro di Milano e con una azione spettacolare e imprevedibile, armati entrambi di una “katana”, la spada dei samurai giapponesi, saltando sui banconi della banca si sono impadroniti di 25 milioni di lire riuscendo poi, con una fuga rocambolesca in moto, inseguiti dalle volanti della polizia subito accorse, a far perdere le loro tracce.
Galvanizzati da questo primo successo solo due giorni dopo in corso Vercelli, i due hanno centrato il bis alla filiale dell’Ambrosiano, riuscendo questa a “incassare” altri 15 milioni di lire.
A dimostrazione della loro freddezza i due novelli Bonnie and Clyde mezz’ora dopo hanno assaltato, sempre armati delle sole spade, la sede centrale del Banco di Napoli in piazzale Cordusio, questo come gesto di massima sfida alla polizia che comunque aveva già disposto sbarramenti e controlli all’uscita dal centro... infatti la moto è stata intercettata in via De Amicis ma i due sono riusciti ancora una volta a dileguarsi. Dai dati della moto si era intanto giunti a dare un nome all'uomo della banda e in breve si era risaliti pure all'identità della donna.
Confrontandole era apparsa una sincronia sinistra fra i due, a prima vista poco più di un dettaglio, confermato in seguito da altri elementi, quali le loro cartelle cliniche e cioè che i due potessero essere affetti dal morbo di Parkinson, una patologia neuro degenerativa che di solito colpisce le persone in età avanzata, una patologia su cui ancora poco si sa.
Il fatto di essere stati “scelti” con notevole anticipo dal Parkinson potrebbe essere la scintilla che ha innescato il delittuoso, a detta degli psicologi, comportamento dei due sicuramente frustrati e incapaci di rassegnarsi al loro destino e che hanno deciso di tagliarsi i ponti alle spalle lanciandosi in un gioco sempre più pericoloso, sempre più inebriante, sempre più assuefatti oltre ai loro farmaci anche alle scariche di adrenalina ormai necessarie per poter continuare a sognare.
Due giorni dopo i due sono stati riconosciuti in un bar a Como, la ragazza in evidente crisi di astinenza da farmaci, lui apparentemente calmo e tranquillo.
Dopo una breve fuga, senza più nessuna possibilità i due si sono arresi. Ma sui loro visi l'icona della sorte non era riuscita a cancellare un timido, appena percettibile sorriso».
***
Una sera di 2 anni dopo, il 22 novembre 2001, nel corso di una serata organizzata dal Comune di Varese e da “La Prealpina”, dedicata a tre grandi firme del “Corriere”, Montanelli, Buzzati e Chiara ho avuto la fortuna di poter scambiare quattro chiacchere con l’allora direttore de “La Prealpina”, Mino Durand, che all’epoca dei fatti sopra narrati era già uno dei migliori cronisti e inviati speciali del “Corriere”, uno dei più abili testimoni di quella memorabile stagione di cronaca milanese a cavallo degli Anni ’60 -’70, cito a memoria fra i più eclatanti il caso Fenaroli - Ghiani, la rapina di via Montenapoleone, l’arresto della banda Cavallero, la rivolta nel carcere di San Vittore.
Si ricordava perfettamente della triste vicenda dei due parkinsoniani e mi Confermò particolari abbastanza struggenti sulla loro storia.
«Entrambi - mi disse - di buona famiglia, lei con qualche anno più di lui e davvero carinissima si erano conosciuti ad uno dei primissimi convegni medici dedicati al morbo di Parkinson.
E fra loro fu subito un “coup de foudre”.
Certo la situazione per chi incappava nel Parkinson allora era piuttosto diversa da quella attuale.
Mediamente dopo 6-8 anni si era più o meno gravemente invalidi, il tremore aveva effetti devastanti sul corpo, i farmaci poco più che palliativi di breve efficacia. I nostri due protagonisti erano sulla dirittura di arrivo, si misero insieme… ovviamente, ma la brusca realtà mise rapidamente fine a qualsiasi sogno, la malattia incalzava.
No grazie, il futuro preventivato non faceva per loro, il repertorio di tremori, discinesie, movimenti involontari cominciava a fare capolino e quindi non rimaneva molto tempo a disposizione, la loro breve luna di miele con il Parkinson si avviava già alla conclusione.
Rimase loro una sola possibilità, l’unica del resto.
Riuscivano ad essere efficienti un’ora ogni quattro, ebbene in quell’ora avrebbero messo tutto quello chela malattia non aveva ancora ghermito, il loro passato (lui da sempre appassionato di moto, lei campionessa di arti marziali) per vivere il loro presente o qualche attimo più in là...
In un’ora si possono fare tante cose, vivere, morire solo che i tempi devono incastrarsi alla perfezione, al secondo...
Con gli ultimi soldi si comprarono la moto, una delle primissime Kawasaki 350 Avenger giunte in Italia... lei barattò i suoi gioielli con le due spade.
Il resto lo sai anche tu - concluse Durand fissandomi negli occhi -. Pagato il loro (non breve) conto con la giustizia (i due passarono 4 anni fra arresti domiciliari e ricoveri in ospedali). Abbandonate moto e spade, vissero gli anni intermedi delle loro vite (non facili) grazie anche ad un medicamento questo sì portentoso e inventato parecchio tempo fa: l'amore».
Durand disse inoltre che anche il suo capo redattore Dino Buzzati era rimasto colpito dalla storia e che probabilmente aveva scritto un paio di paginette sotto forma di favola, aneddoto o paradosso, gli strumenti che la sua letteratura aveva sempre con grazia prIvilegiato, pagine che però sono forse rimaste solo impresse in quei quadernetti cartonati rimasti per sempre in fondo a qualche cassapanca (in via Boccaccio ) e mai venuti alla luce.
Ultimo dato della storia: i due riposano in un tranquillo vialetto del cimitero di Cocquio Trevisago (dove abita il sottoscritto). Come ci siano arrivati è un po’ un mistero, come del resto abbastanza misteriosa è questa storia.
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