LA DISCRIMINAZIONE
Italoegiziano? «In discoteca non entri»
È accaduto ad Alassio al bustese Seif Soliman: «Ho provato che significa il razzismo»

«Tu non entri», gli ha detto secco il buttafuori della discoteca.
Inutile protestare.
«Tu non entri. Ora stai tranquillo e tornatene a casa». Punto.
Seif Soliman ha 21 anni, è nato e cresciuto a Busto Arsizio, è italianissimo dal primo giorno di vita, anche se i tratti somatici e il nome ricordano che il papà è egiziano.
«Ma, appunto, io sono italiano», ribadisce per confermare quella certezza messa in dubbio la sera del 19 agosto dagli addetti alla sicurezza delle Vele di Alassio, noto locale del divertimento della riviera ligure in cui il ragazzo - che è in vacanza con la famiglia ad Albissola - si è presentato assieme ad alcuni amici per una festa.
Solo che lui, quella sera, spiega di non essersi divertito affatto.
«Un amico aveva acquistato i biglietti per tutti noi del gruppo, ma quando siamo arrivati alla porta mi hanno detto che io non potevo entrare», afferma fra il costernato e l’arrabbiato Seif.
«In quel momento, per la prima volta nella mia vita, ho provato cosa sia la discriminazione».
D’altronde altra spiegazione non c’era per sbarrargli l’accesso.
La festa non era ancora cominciata, la gente stava arrivando e, se anche fosse stata la solerzia (inspiegabile) di un buttafuori, anche i tentativi agli altri punti d’ingresso hanno confermato quello che stava succedendo.
«Ho provato a rientrare da un’altra parte con un altro gruppo, sempre tutto di italiani, e ancora hanno fermato solo me. Poi ancora ho intercettato un’amica che stava arrivando, siamo andati assieme a un terzo varco, ci siamo presi per mano fingendoci fidanzati e di nuovo mi è stato ripetuto: tu qui non puoi entrare».
Seif non è tipo da arrendersi facilmente, ha chiesto il motivo, ha provato a parlare con un responsabile del locale, «ma nessuno mi ha dato retta».
Anche i poliziotti «a cui mi sono rivolto, non mi hanno ascoltato perché erano impegnati in un altro servizio e poi sono spariti».
Di certo il contesto in cui si era venuto a trovare gli è stato subito evidente.
«A un certo punto - dice - mi sono ritrovato all’esterno con un’altra trentina di ragazzi che erano stati tutti quanti respinti. Erano tutti come me: chi col padre tunisino, chi con la madre marocchina, comunque con tratti somatici mixati, come è ormai consueto che sia nel 2019».
Solo a notte fonda, mentre aspettava la compagnia per tornare a casa, «un ragazzo del servizio d’ordine mi si è avvicinato e mi ha detto che giorni prima dei marocchini avevano usato lo spray e che non volevano avere più problemi».
A quel punto Seif non ha detto più niente, perché tanto quello che c’era da capire, lo aveva già capito. E semmai adesso, spalleggiato dalla madre, è pronto ad andare fino in fondo alla vicenda.
«Presenteremo una denuncia, perché una cosa del genere non deve passare sotto silenzio, è troppo grave», dice ancora.
«Io a Busto non ho mai provato nulla del genere, né quando ho frequentato il Liceo artistico Candiani, né adesso che studio Scienze della comunicazione all’università dell’Insubria».
Invece, stando alla sua testimonianza diretta, ciò che è accaduto ad Alassio gli avrebbe «fatto provare cosa significa essere ghettizzati per il proprio aspetto fisico. Ho sentito dentro di me una sensazione di impotenza di fronte a quella cosa inspiegabile che mi stava succedendo. Per la prima volta mi è infatti capitato di sentirmi diverso dagli altri, quasi inferiore».
Il tutto è avvenuto in quella città di Alassio che con Busto è da sempre gemellata, dove centinaia di cittadini di ogni età trascorrono le loro vacanze, dove Seif pensava di passare una serata spensierata con gli amici.
Ad ascoltare il suo racconto, non è purtroppo andata così.
«Ma ora non voglio che altri ragazzi provino quello che ho provato io».
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