IL PROCESSO
Caso Lolita: «Archiviate»
Errori nelle indagini e prescrizione fanno il gioco della difesa: «Avremmo patteggiato ma ora la Procura chiuda il caso»
Nove anni dopo il ciclone giudiziario che travolse l’ufficio tecnico, si torna a parlare dell’inchiesta Lolita.
Nel 2015 la Corte di cassazione aveva annullato le sentenze di primo e secondo grado rispedendo tutti i faldoni alla Procura di Busto Arsizio per nuove indagini, nonostante incombesse la prescrizione.
Ebbene, nei giorni scorsi l’avvocato Tiberio Massironi, difensore dell’ex capo dell’Urbanistica Gigi Bossi, ha chiesto alla Procura l’archiviazione del caso non perché ormai si è fuori tempo massimo per accertare i reati (come probabilmente si accingerà a fare il pubblico ministero Nicola Rossato), bensì per l’insussistenza dei fatti. Una richiesta che ovviamente si estende anche alla ex compagna di Bossi, l’architetto Federica Motta.
D’altro canto i giudici della Suprema corte furono molto chiari: non c’è mai stata correlazione tra l’impianto accusatorio e i verdetti emessi sia dai giudici del tribunale di Busto e che da quelli di Milano.
Gli inquirenti insomma avrebbero dovuto svolgere meglio le indagini e per questo gli ermellini nel 2015 decisero di ritrasmettere gli atti in largo Giardino, per una rivisitazione completa della vicenda imperniata sulle pratiche edilizie. Pochi mesi dopo intervenne la prescrizione, quindi nessuno ci mise più mano in quel ginepraio.
Il lavoro svolto dai carabinieri di Saronno nel 2008 venne bocciato perché incardinato sull’ipotesi originaria di concussione, trasformata dal collegio giudicante bustese in corruzione (con pene pesantissime, ossia cinque anni e sei mesi per Bossi, un anno in meno per la convivente), e ridimensionata in abuso d’ufficio dai giudici di Milano (con assoluzione per la Motta e tre anni e due mesi per Bossi).
Presupposti investigativi sbagliati, pronunciamenti nulli, questa fu la conclusione della Cassazione.
L’avvocato Massironi e il collega Cosimo Palumbo, erano convinti dell’esito già poche ore dopo l’arresto della coppia: «Noi avremmo patteggiato già all’epoca per l’abuso d’ufficio e così si sarebbe evitato questo lungo e delicatissimo processo, durato in tutto sette anni, indagini comprese. Ma la Procura era di un altro avviso», dichiarò all’epoca il legale Massironi. Il collega Palumbo chiosò con la spiegazione di un eventuale patteggiamento: «Era un’ipotesi che poteva essere plausibile pochi giorni dopo l’arresto di Bossi, il 26 maggio 2008, senza conoscere le carte. Avremmo cioè patteggiato se gli elementi d’accusa fossero stati provati. Ma si sono sciolti come neve al sole, lasciandone altri che hanno prodotto il nulla».
A distanza di nove anni, comunque, il settore urbanistico non conosce ancora serenità.
A maggio l’assessore Orietta Liccati è rimasta coinvolta nell’inchiesta che ha portato in carcere Danilo Rivolta, suo compagno e sindaco (anche da dietro le sbarre) di Lonate Pozzolo.
Secondo la Procura di Busto avrebbe intascato una tangente nell’ambito di un sistema corruttivo che Rivolta avrebbe instaurato nel suo Comune. E così si è dimessa, scatenando inevitabilmente una guerra politica.
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