COSTA PACIFICA
Crociera, affare da 4,5 miliardi
Il comandante Paolo Viscafè: «Settore in crescita»
“Ma come fanno i marinai, con le loro facce stanche?”, cantava Lucio Dalla. Lo chiediamo a uno del ramo, il più alto sulla Costa Pacifica che ha scarrozzato per una settimana nel Mediterraneo la brigata Tamagno, cioè i lettori di Prealpina (dal nome della via in cui si trova la redazione del giornale a Varese). Si chiama Paolo Viscafè, ha 50 anni e la faccia in verità è assolutamente distesa, rassicurante, l’eloquio fluente di chi è abituato a farsi rivolgere centinaia di domande. Dai viaggiatori, dall’equipaggio (mille a bordo), qualche volta dai giornalisti che partono, nel nostro caso, da un’osservazione. C’è un comparto nell’economia italiana che continua a registrare dati di crescita costanti: le crociere. In Italia nel 2015 affari diretti per 4,5 miliardi con un aumento del tre per cento rispetto all’anno prima. E si può fare di più se il Sistema Paese adeguerà i suoi porti. Lo dice l’ultimo report di Risposte Turismo presentato a metà ottobre. Il genere villaggio-vacanze d’alto mare non arretra, anzi recupera. Clientela per lo più datata e questo è l’effetto di un allungamento della vita media. Che corrisponde evidentemente a un ceto medio propenso a spendere per navigare.
Come e dove è cambiato il prodotto, comandante?
«Nelle navi, innanzitutto. Ottocento-mille passeggeri una volta, quattromila oggi se parliamo della Diadema, l’ammiraglia della Costa. Poi nel tipo di domanda: la crociera è diventata alla portata di tutti, diciamo di molti. Una volta se la permetteva soltanto una élite. Terza considerazione: il personale. Si è internazionalizzato. Abbiamo a bordo filippini, brasiliani, indiani. Siamo forse l’unica compagnia multilingue. E questo vale anche per comandanti e ufficiali”.
Metamorfosi estesa al vostro lavoro: si viaggia con Gps e pilota automatico…
«Sì, ma non si pensi alla nave che va avanti da sola. Radar e binocolo continuano a essere i ferri del mestiere. Gli allievi che abbiamo a bordo per fare esperienza disegnano le rotte con squadra, goniometro e bussola come un tempo e per orientarsi scrutano gli astri e le luci dei fari lungo le coste. La didattica si basa ancora su questi fondamentali. Vero: ci sono i computer, ma se l’ufficiale avvista un’altra imbarcazione a dritta, deve fare la correzione avendo ben chiari i precetti di questa arte. Che io preferisco chiamare lavoro”.
Lei com’è arrivato sul ponte di comando?
«Diciamo come ho scelto questa carriera. Volevo fare tutto da ragazzo, tranne che rassegnarmi a una vita d’ufficio tra le scartoffie. Vedevo mio padre che si guadagnava da vivere così e la cosa non mi attizzava affatto. C’è stata una partenza falsa: mi ero iscritto non al Nautico, ma a un istituto aeronautico. Era a Forlì. La lontananza da casa, Genova, mi pesava e dopo un anno ho fatto il salto del bancone. Gavetta sui mercantili, poi l’approdo alla Costa. Ci lavoro dal 1993 ormai».
Fotografia del settore: come siamo messi noi italiani?
«Il mercato della compagnie è globale. Noi ci difendiamo bene. Sono una dozzina le società in esercizio, quasi tutte quotate in Borsa, sotto il cappello di una sorta di holding: l’americana Carnival. L’ammodernamento delle dotazioni di bordo è una sfida continua, guidata dallo sviluppo delle tecnologie. Una nave da crociera come la Pacifica ha una vita anche di trent’anni se, come avviene da noi, la manutenzione è scrupolosa, continua. Stop ogni tre anni per la revisione complessiva in cantiere».
Quali mete incontrano le preferenze del pubblico?
«C’è forte interesse per il Nord Europa, per la crociera tra i fiordi. Le emozioni sono uniche, la gente le sperimenta e con il passaparola, coadiuvato da un buon marketing, questo tipo d’offerta cresce a vista d’occhio».
Come si tiene alto il morale della truppa? Parliamo dell’equipaggio.
«Questo non lo devo dire io. So che la selezione del personale, la verifica delle attitudini individuali garantiscono che chi sale a bordo è predisposto a una vita di sacrifici non piccoli. I viaggiatori non se ne accorgono, ma le esercitazioni sono capillari e giornaliere. Per assecondare le esigenze di tutti, ovviamente, e soprattutto per offrire sicurezza davanti a eventuali emergenze. Costa ha una lunga e collaudata tradizione marittima. E’ il patrimonio più importante».
Come siete organizzati nelle cabina di regia?
«Tre turni di guardia: 8-12, 12-16, 16-20 e via di seguito. Conta lo spirito di squadra e conta la passione senza la quale è meglio scegliere un’altra strada. Lo inculchiamo ai giovani fin dai tempi della scuola. Chi supera il cimento può aspirare a un lavoro bello, affascinante, visto da fuori, impegnativo al massimo, se esaminato nella quotidianità, nella ruotine».
I conti economici sono in grande spolvero. Di recente le compagnie hanno chiesto di contare di più nella governance dei porti. Con quali intenti?
«E’ sempre una questione di costi e di efficienza. Limitiamoci alla sala-macchine che non è più il luogo in cui marinai in canottiera spalavano carbone e lo scaraventavano nella bocca di una caldaia. Gli apparati occupano lo spazio più vasto della nave, da prua a poppa, centinaia di metri. E pensiamo agli approvvigionamenti di acqua potabile, di carburante, ai serbatoi che raccolgono i liquami di scarto, li depurano prima di scaricarli in mare. Ma pensiamo anche alle tariffe: una sosta nel porto può costare anche trentamila euro. E’ logico chiedere di armonizzare le regole di un settore ormai globale e una partecipazione alla gestione delle strutture di terra. Ne va del futuro di un comparto che ha dimensioni economiche non trascurabili».
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