IL CONCERTO
Depeche Mode, il rito si ripete
Più di cinquantamila “seguaci” allo stadio Meazza per la tappa milanese della band di Dave Gahan. Che continua ad entusiasmare anche dopo 37 anni
Depeche Mode, il rito si ripete. Erano più di cinquantamila gli spettatori che hanno affollato - non senza difficoltà e lungaggini dovute ai numerosi controlli agli ingressi, con mugugni per ombrelli e altri oggetti “pericolosi” che gli inflessibili security-men hanno costretto ad abbandonare) le tribune e il prato del Meazza in occasione della tappa milanese dello Spirit Global Tour, giro del mondo in nove mesi che i tre originari di Basildon (con aggiunta di - ottimi - tastierista e batterista) hanno intrapreso dopo l’uscita del loro ultimo lavoro, Spirit appunto, ennesimo successo planetario di una carriera iniziata ben trentasette anni fa.
Un rito che ha raccolto intorno al santone Dave Gahan, frontman di straordinaria presenza scenica e voce assolutamente adeguata alla bisogna, un pubblico devoto ai limiti del “culto”. Quando, alle 21.08, i tre maxischermi alle spalle del palco si sono illuminati mostrando i piedoni stilizzati che camminano (dalla copertina di Spirit) e sull’intro di Going Backwards la band è apparsa al pubblico, una sorta di collegamento telepatico si è creato tra i cinquantamila “seguaci” e i tre “profeti”, un’empatia che per oltre due ore ha creato una sorta di magica sospensione intorno al tempio del calcio prestato al pop-rock elettronico.
Due ore e un quarto divise in ventidue pezzi, parecchi da Spirit ma senza lesinare la rilettura di brani notissimi, vecchi o addirittura preistorici (come una Everything Counts, datata 1984 dal terzo lavoro della band, Costruction time again, che ha fatto brillare più di qualche occhio in tribuna), tutti interpretati con la consueta energia e comunicatività dalla band. Di Gahan si è detto: a dispetto dei 55 anni e dei numerosi guai fisici del passato, sembra aggiungere ad ogni tour un pezzo di carisma in più al suo repertorio. La voce non cede di una virgola, la presenza scenica è totale, le classiche mosse da istrione e da “predicatore” (il rito, appunto) tolgono il fiato. Il resto è - apparentemente - contorno. Ma sarebbe offensivo definire tale Andy Fletcher (con immancabili occhiali scuri, diviso tra basso e tastiere) e soprattutto quel genietto dalle unghie laccate e il trucco pesante di Martin Lee Gore, autore dell’80% dei successi della band e capace di mostrare insospettabili doti di comunicatore quando, abbandonate le chitarre e i suoi amati synth, si cimenta come voce solista in tre brani (splendide soprattutto A question of lust e, tra i bis, Somebody). Da Never let me down again a Stripped, da Wrong a Where’s the Revolution, è un susseguirsi di colpi alle coronarie dei, non pochi, fan attempati presenti al Meazza. Quando poi, tra i cinque bis, dopo il tributo a David Bowie di Heroes e dopo una I feel you tiratissima, partono le note di Personal Jesus (da Violator, 1990) il rito assurge al suo acme. E i cinquantamila salutano Dave, Andy e Martin (appuntamento a fine gennaio 2018 al Forum di Assago, coda di questo stesso Spirit Global Tour) intonando ripetutamente all’unisono “Reach out and touch the Faith” che sfuma in applauso inarrestabile e liberatorio. Il rito si è compiuto.
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