CAMPO DEI FIORI
Domenica al Grand Hotel
Tuffo nella storia di Varese, tutto esaurito per le visite guidate
«Cercheremo di restare fedeli alla destinazione originaria del Grand Hotel». Andrea Buffarello, che parla a nome della proprietà (la società di capitale Ghp, acronimo che sta per Grand Hotel Palace) non vuol dire di più, ma tanto basta per aprire uno spiraglio di risposta alla domanda che tutti si pongono: che fine farà il colossale edificio liberty a Campo dei Fiori, tra 1912 e 1968 (anno della sua chiusura) tra i più prestigiosi alberghi d’Europa?
Del resto, non può sfuggire il fatto che socio della Ghp è la Alton Amapa, azienda romana attiva proprio nel settore alberghiero. «Il nostro sogno -ha dichiarato il direttore esecutivo Ezio Romani- è che torni ad essere un grand hotel». Se aggiungiamo che i nuovi proprietari pare stiano intervenendo con perizia (e denari pesanti) nella ristrutturazione dell’altra grande architettura liberty cittadina, il Palace Hotel, possiamo concludere con una certezza: dopo oltre mezzo secolo di immobilismo e degrado, per il turismo sulla montagna varesina si sta per aprire uno scenario nuovo. Come e quando è presto per dirlo, ma di sicuro la riapertura al pubblico del Grand Hotel, avvenuta ieri mattina, ha il valore di un segnale preciso. E i varesini hanno gradito in massa. Nella sola giornata di ieri (quattro turni di visita ad opera del Fai Giovani, due al mattino e due al pomeriggio) si sono prenotati in oltre quattrocento e sabato (primo giorno di apertura) e il sito info@italialiberty è andato per due volte in tilt. I prossimi fine settimana di visita registrano già il tutto esaurito e occorre affrettarsi per ottenere un posto entro fine luglio, quando l’iniziativa “porte aperte” dovrebbe (salvo proroghe) chiudere i battenti. Ieri mattina hanno fatto gli onori di casa l’organizzatore dell’evento, Andrea Speziali, il vicesindaco Daniele Zanzi, l’onorevole Maria Chiara Gadda, il già citato Andrea Buffarello, il capogruppo Fai Giovani, Andrea Zoccoli. Poi tutti col naso all’insù per ammirare le volute, gli stucchi, i fregi di un colosso dai piedi d’argilla che gli stessi varesini hanno abbandonato al suo destino per troppo tempo.
Colpevolmente, dopo che per almeno trent’anni -quelli successivi alla Belle Epoque, ma ancora carichi di fascino e di “bella gente” proveniente da mezza Europa- il Grand Hotel ha reso ricca (di soldi e di fama) la Città Giardino delle ville, dei parchi, dei giardini, dell’aria salubre che nobiltà e borghesia tra le due guerre mondiali veniva da queste parti a respirare a pieni polmoni.
Poi la mazzata inferta dal secondo conflitto mondiale e, per altri versi, dal boom economico che (complice la chiusura della funicolare) ha dirottato il turismo altrove. Ieri la gente si chiedeva ammirata e perplessa come sia potuto accadere che una struttura di tale valore sia stata abbandonata a se stessa in una plaga ricca come quella varesina. Mescolato fra i visitatori c’era anche Marco Moneta, ultimo proprietario del Grand Hotel prima della cessione alla Ghp. «Nonno Giulio ci portava quassù tutte le estati a fare vacanza. Erano i primi anni Cinquanta e l’albergo stava già conoscendo la decadenza, ma la funicolare funzionava ancora e i reali di Danimarca ci venivano puntuali ogni agosto, quando tutt’attorno si svolgeva una grande festa. Oggi piange il cuore vederlo così mal ridotto».
La visita può riguardare soltanto il piano terra (dov’è una bella mostra fotografica del varesino Davide Niglia dedicata al liberty) con straordinari panorami sulla pianura e le cucine (molto mal ridotte). Il resto è off limits per ragioni di sicurezza. Nessuna camera da letto o appartamento è aperto al pubblico e, con essi, nemmeno il vicino ristorante dove dalla fine della guerra nessuno ha più messo piede. «Crediamo nel totale cambio di rotta. Ridaremo il Grand Hotel ai varesini e non solo», assicura Buffarello. Scroscia l’applauso. Sperare non costa niente.
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