LO STUDIO
«Femminicidi, non chiamatela emergenza»
L’analisi dello scrittore Massimo Comparin sui dati nazionali e internazionali
Le drammatiche notizie che riportano le cronache fanno alzare la guardia sui cosiddetti “femminicidi”, con donne uccise da uomini che dicevano di amarle: è importante fare prevenzione affinché non si registri più nemmeno un solo caso. In questi giorni si è parlato di episodi in aumento ma come stanno davvero le cose? Fermo restando il fatto che anche una sola violenza non è tollerabile e che occorre fare tutto il possibile per prevenirle, lo scrittore Massimiliano Comparin ha compiuto uno studio sul tragico fenomeno, sulla sua evoluzione nella storia e sulla sua incidenza in Italia e all’estero.
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Uno ogni tre giorni. I casi di femminicidio in Italia, da inizio anno, sono 105 (dati al 20 novembre). Giulia Cecchettin è una di questi. Al 31 dicembre si chiuderà questa statistica, più o meno, a quota 120 omicidi di donne, dato in linea con il trend degli ultimi anni. Si tratta di 10 casi al mese, uno ogni tre giorni. Significa che, tra tre giorni, i quotidiani nazionali e le televisioni racconteranno un altro omicidio di donne, poi tra sei giorni un altro ancora e così via. Più questi omicidi sono efferati - come nel caso di Giulia Cecchettin, ma anche di Giulia Tramontano - più essi guadagnano la prima pagina: sale l’indignazione, ci si pone tutti delle domande, si alimenta la polemica politica, ci s’interroga su cosa fare, di chi è la colpa, come porre rimedio. È sotto gli occhi di tutti, basta aprire un giornale o guardare la televisione. Si tratta di un’emergenza nazionale.
Ecco, ora io credo che per capire un qualsiasi fenomeno, collocarlo correttamente nelle sue dimensioni e intervenire per modificarlo, bisogna togliersi la maschera dell’emotività e analizzarlo lucidamente con le lenti della ragione. Mi rendo conto che è difficile fare ciò in un momento di alta tensione emotiva, dove ogni parola detta è una parola fuori posto. Se però non oggettivizziamo i fatti, rischiamo che questi vengano strumentalizzati, ovvero resi strumento di tesi ideologiche portate avanti in buona - ma spesso in cattiva - fede. Se quindi mi viene detto, urlato in faccia e ribadito continuamente che si tratta di un’intollerabile e inaccettabile emergenza nazionale, la mia prima reazione è cercare di capire e, per farlo, vado a guardare i dati degli altri, in giro per il pianeta.
IL CONFRONTO TRA CONTINENTI
Il sito Stopstalkingitalia, ad esempio, riferisce un rapporto ONU in cui vi è un confronto per continenti da cui emerge che il tasso di femminicidi più basso nel mondo si ha in Europa. Ora però una piccola nota metodologica: il termine “femminicidio” è un neologismo quindi andrebbe definito. Per il Ministero della Giustizia (Direzione generale di statistica e analisi organizzativa), femminicidio è quando una donna viene uccisa “in quanto donna”. Definizione un po’ fumosa per dire che non si tratta di femminicidio se una donna viene uccisa in un attentato terroristico oppure durante una rapina. Di fatto, non esiste come ipotesi di reato autonoma, ma solo come circostanza aggravante. Nei dati riferiti al periodo 2012-2016, circa l’85% delle donne uccise in Italia erano vittime di femminicidio, quindi donne uccise “in quanto donne”. Ora torniamo ai fatti degli altri: una volta appurato che l’Europa è il continente dove si commettono meno femminicidi, quale è la situazione riferita ai singoli Stati europei?
I DATI DELL’ISTAT
Ci viene in aiuto l’Istat con un’analisi puntuale del 2019: Secondo questa ricerca (e altre, ne ho consultate diverse) il tasso di omicidi di donne in Italia si attesta attorno a 0,4 casi per 100.000 (mentre i femminicidi veri e propri sono circa 0,3 casi per 100.000). Solo una manciata di Paesi, in tutto il mondo, ha numeri simili ai nostri: nessuno fa meglio o decisamente meglio. Nel corso degli anni alcune posizioni in classifica possono variare, ma si tratta per lo più dei dati relativi ai Paesi più piccoli. Faccio il caso di Malta, Stato con 500.000 abitanti: una media di 0,5 omicidi x 100.000 donne significa mediamente un caso all’anno. Un omicidio in più, o in meno, quindi raddoppierebbe oppure azzererebbe il dato). Ma l’Italia, assieme alla Grecia, è sempre sul podio dei Paesi più virtuosi. Potete ben capire quanto io sia rimasto stupito da questi numeri, che fotografano una realtà che nessun mezzo di informazione mi ha mai raccontato. Questi numeri dicono (non io, lo dicono loro!) che una donna, se vuole vivere in un posto dove ha minore possibilità di essere uccisa, deve venire in Europa e, una volta in Europa, dovrebbe trasferirsi in Italia oppure in Grecia. Ho cercato poi di dare un senso all’altra parola spesso utilizzata in ambito giornalistico, ovvero “emergenza”.
Emergenza viene definita dalla Treccani come “circostanza imprevista, accidente, momento critico, che richiede un intervento immediato.” Emergenza, in senso più lato, è il verificarsi di una condizione nuova (es: la pandemia) oppure l’aggravarsi di una situazione in essere (es: il cambiamento climatico). Per verificare quindi se il femminicidio sia effettivamente un’emergenza italiana, bisognerebbe osservare i trend storici. Se è un fenomeno esploso improvvisamente, oppure se è incrementato moltissimo, allora si tratta di emergenza.
I NUMERI DAL 1992
A questo proposito riporto i dati Istat dal 1992 al 2020: Come si evince, il dato di omicidi maschili, altissimo nel ’92, è crollato negli ultimi trent’anni, passando da 4x100.000 a valori prossimi allo 0,6/0,5x100.000, mentre il dato femminile è in un decremento meno marcato (da 0,7 a 0,3/0,4 per 100.000) ma pur sempre significativo. Non si notano, quindi, valori che oggettivamente possano far pensare a un’emergenza nell’accezione corretta della parola. Ogni femminicidio, indipendentemente dai numeri, è una tragedia e bisogna fare di tutto per preservare la vita di ogni singola donna. È un fatto talmente ovvio su cui non voglio nemmeno soffermarmi. E allora, perché ho deciso di dedicarmi allo studio di questi dati, e di scriverne? La risposta che mi sono dato è questa: se vogliamo provare a capire una realtà complessa come quella in cui viviamo, non dobbiamo accontentarci di seguire l’onda emotiva (più che giustificabile in determinati momenti storici, ci mancherebbe) ma dobbiamo mantenere quel barlume di lucidità che ci permetta di collocare correttamente i fenomeni, per comprenderli e magari attuare delle strategie intelligenti per modificarli. Faccio un esempio: sento parlare continuamente di “patriarcato” come causa dell’ondata di femminicidi in Italia.
Dai dati in mio possesso, mi sono fatto (paradossalmente!) un’idea opposta: i Paesi mediterranei come Italia e Grecia sono quelli, al mondo, con i tassi più bassi di femminicidi (un altro è il Giappone, non a caso). Nord Europa ed Europa dell’Est, dove le donne sono più emancipate e vivono relazioni sociali più in linea con quelle maschili, hanno tassi di omicidi femminili più alti dei nostri e in linea con quelli degli uomini; perché fondamentalmente fanno la stessa vita e condividono gli stessi rischi.
IL PATRIARCATO
Questo non significa che per mantenere bassi i tassi di omicidi di donne dobbiamo tornare al – o restare nel – “patriarcato”, significa semplicemente prendere atto che i dati non sono mai come ci piacerebbe che siano. Sono come sono. Ho deciso di scrivere questo testo anche per un altro motivo, perché mi sono sentito chiamare in causa direttamente in quanto uomo: la sorella di Giulia Cecchetin ha dichiarato: “Gli uomini devono fare mea culpa, anche chi non ha mai fatto niente, anche chi non ha mai torto un capello.” No, Elena! La colpa, la responsabilità penale, come la condanna, è individuale. Non può, e non deve, mai essere estesa a una categoria. Troveresti accettabile se in quella frase, al posto della parola “uomini” ci fosse la parola “neri”, oppure “extracomunitari”, oppure ancora, visto che stiamo tornando purtroppo in tema, “ebrei”? Se a compiere una serie di efferati delitti fossero stati dei neri, degli extracomunitari oppure degli ebrei, come avresti reagito se qualcuno avesse generalizzato in questo modo? Capisco il dolore, lo smarrimento, la rabbia che porta a queste esternazioni da parte tua, che hai appena perso così brutalmente una sorella. Uccisa da un uomo. Non accetto ma comprendo. Noi altri invece, che siamo esterni a questa vicenda e al tuo dolore, dobbiamo restare lucidi, allontanarci dai facili slogan, magari anche essere coraggiosi se siamo intellettualmente onesti e convinti delle nostre idee, dicendo o scrivendo cose che sembrano contro corrente.
LA TRAGEDIA DEL TRATTORE
Chiudo con una provocazione, che spero venga presa come tale e che riguarda il mondo dei media e il loro modo di intendere cosa fa notizia e cosa invece no. Riporto un fatto di cronaca che tocca la provincia di Varese: un 14enne morto schiacciato da un trattore. Questa terribile notizia che ha sconvolto una famiglia la trovate nelle pagine di cronaca di un quotidiano locale. Nessun quotidiano nazionale ne ha parlato, nessun telegiornale ne ha fatto cenno. Eppure le persone che in Italia muoiono investite da un trattore (un trattore!) sono 166 all’anno. Uno ogni due giorni.
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