PREMIO ARTI VISIVE
Gallarate si rigenera lungo il corso dell’Arnetta
Gallarate, una città miniera per l’arte. Iniziano dal Museo Maga e si diramano nei gangli pubblici del tessuto urbano le opere appositamente realizzate per la XXV edizione del Premio Nazionale d’Arti Visive Città di Gallarate con titolo «Urban Mining / Rigenerazioni Urbane», con focus sul torrente Arno, più famigliarmente Arnetta. Un corso d’acqua, che scorre verso sud e sfocia nel Ticino, lungo il quale un tempo fiorirono le industrie, in particolare tessili, che inquinarono all’inverosimile l’ambiente. Oggi il torrente è reso più vivibile, ma per contro molte di quelle fabbriche hanno chiuso. Chiedendosi con un pizzico di ironia cosa era meglio fare, il presidente del Premio, Giovanni Orsini, lascia al lavoro degli artisti «l’ardua sentenza».
Sul tema «Il torrente Arno e la città di Gallarate», nel segno del degrado e della salvezza, si confrontano in tutto nove creativi, ai quali il comitato scientifico ha chiesto di indagare in tre direzioni: la città, la natura e il sociale.
Un impegno in cui «la ricerca è un elemento determinante», osserva il professor Giacomo Buonanno, presidente della Fondazione che gestisce il Maga. Del resto, il titolo stesso del Premio - spiega Alessandro Castiglioni, uno dei curatori - fa riferimento a una pratica di scavo (urban mining letteralmente significa miniera urbana), di riscoperta di memorie, architetture, spazi e significati non solo dal punto di urbanistico ma anche metaforico e simbolico.
Gli artisti, progettando e realizzando i lavori, inediti e nati dall’esperienza sul campo, si sono interrogati sull’identità e capacità narrativa di un luogo specifico o di un’icona urbana, consegnando al museo e ai cittadini uno sguardo originale del loro territorio. Altra caratteristica importante del Premio di quest’anno - sottolinea Emma Zanella direttore del Maga - è quella di aver coinvolto la città sia in termini di spazi che di persone.
I PROGETTI IN MOSTRA
Costituiscono una sorta di ponte con le investigazioni della mostra di Ugo La Pietra «Abitare è essere ovunque a casa propria», con la quale sono esposte in contemporanea al Maga, una serie di progetti dedicati alla città. Tra questi c’è anche il breve film «Untitled» di Luca Trevisani (Verona, 1979), partito da un workshop con studenti di tre istituti di Busto Arsizio e Tradate che ha messo a confronto la scultura «La Baracca» di Fausto Melotti, della collezione Maga, con pezzi di archeologia industriale caratteristici del paesaggio urbano di Gallarate: le ciminiere. Il film è visibile in un stanzetta del museo al piano terra, dove il percorso espositivo inizia con tre piccoli schermi su cui scorrono le immagini di archivi storici della città dei due galli.
Rimanendo all’interno del museo, è visibile un elemento del lavoro «Private view» (2016) di Ettore Favini (Cremona, 1974): il percorso cittadino dell’Arnetta, simile all’immagine radiologica di un intestino, segnato da dieci punti in cui sostare con una piccola seduta trasportabile prestata dal museo per godere di «visioni private» (il titolo dell’opera in italiano) del torrente; su un libro è poi possibile annotare le sensazioni avute dalla visita.
Ancora nell’ambito della natura rientrano le lievi sculture-installazioni «Apparire» di Christiane Löhr (Wisbaden, 1965), forme poliedriche composte da sottili steli vegetali recuperati dal verde lungo il corso d’acqua si confrontano anche con la collezione del Museo per gli Studi Patri.
Sedici quadretti con disegni a pastello di frammenti di origine naturale (piante, rocce) e artificiale (cocci, residui di plastica), riprodotti anche su grandi poster, danno evidenza all’azione di raccolta lungo gli argini dell’Arno di Luca Bertolo (Milano, 1968) per il lavoro «Gallarate Hardcore».
Il collettivo di architetti A12(nato a Genova nel 1993) propone su un unico foglio gli schemi di balaustre di balconi che si affacciano sul torrente, punti di monitoraggio dei cittadini, in relazione al progetto «Spazio Arno» che si sviluppa sulla doppia natura del torrente, quella legata ai rischi di esondazione e degrado e quella di presenza verde all’interno della città; uno shop nella sede della Pro Loco di Gallarate presenta strumenti e oggetti delle ricerche quali le boccette di acqua colorata: «ogni giorno l’acqua dell’Arnetta era di un colore diverso: turchese, gialla, rosa, fucsia... a seconda delle tinture usate nelle fabbriche della città».
Luca Francesconi (Mantova, 1979) affronta i temi sociali delle tradizioni, dei rituali, della cultura contadina: suoi il treppiede in acciaio dell’uomo curvo che termina con un cavolo - verdura fresca da cambiare ogni stagione al Maga - e i sassi raccolti nel letto del torrente e poi levigati, anch’essi posti in relazione con i materiali della sezione archeologica del Museo della Società per gli Studi Patri.
Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) registra su foglietti esposti al Maga «Flussi interrotti di parole», frammenti di memorie raccolte (e rielaborate) nelle conversazioni con medici e gruppi di anziani affetti da malattie neurodegenerative ospiti di Residenze Sanitarie Assistite gallaratesi; frasi inoltre scritte con i gessetti dagli studenti del Liceo artistico «Candiani» di Busto Arsizio lungo le vie di Gallarate, espressioni effimere quanto i ricordi umani.
Ludovica Carbotta (Torino, 1982) propone il suo progetto a lungo termine «Monowe Maga», una città immaginaria destinata a un solo abitante raccontata con varie installazioni in giro per Gallarate: a cominciare dal Maga, che sarebbe la struttura per tingersi gli abiti, proseguendo con l’architettura alla ciminiera di via Rusnati che rimanda all’imponente fabbrica che occupava l’area.
La video installazione e le immagini di Marzia Migliora rimandano al degrado delle industrie che hanno chiuso e al loro riscatto attraverso la purificazione delle acque dell’Arnetta, riabitate dalla fauna domestica. Un processo emblematico di degenerazione-rigenerazione che risponde a molte delle domande poste dalla rassegna.
Il Museo Maga nasce dal Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate, la cui prima edizione venne inaugurata nel 1950. Le edizioni del concorso, inizialmente annuali, poi biennali, costituiscono la principale fonte del continuo incremento delle collezioni permanenti del museo dedicato alle arti contemporanee. Giunto alla XXV edizione dopo oltre 65 anni di attività, determinante in questo percorso la presenza di Silvio Zanella, il Premio ha avuto modo di seguire l’evoluzione di pittura e scultura, ma anche di design, computer art, fotografia, public art, arte performativa sino alle ricerche più innovative ed attuali.
Nel tempo il Premio si è trasformato modificando il regolamento del concorso, la scelta degli artisti partecipanti, i componenti dei comitati scientifici e le modalità. Dal 1973 sono state abolite le graduatorie dei premiati, sostituite da premi acquisti di opere entrate a far parte delle collezioni del museo. Nel 1966, in concomitanza con l’VIII edizione del Premio Gallarate, venne inaugurata la Civica Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (che pertanto quest’anno festeggia il suo 50esimo), oggi museo Maga, gestito dal 2009 da una Fondazione partecipata da Comune di Gallarate, Mibact e Regione Lombardia.
LA STORIA DEL PREMIO
Tutte le edizioni del Premio sono organizzate da un apposito Comitato promotore (quest’anno rappresentato da Lorena Giuranna e Alessio Schiavo) e dal Museo Maga (segretari dell’attuale edizione Alessandro Castiglioni ed Emma Zanella, direttore del Maga), che fanno inoltre parte del Comitato scientifico al quale oggi partecipano, in qualità di curatori esterni, Adachiara Zevi, Michele Dantini e Carolina Italiano per il Mibact. Il Premio è anche parte del programma di Officina Contemporanea - Sistema Culturale Urbano, progetto sostenuto da Cariplo ed elaborato da undici istituzioni locali.
«Urban Mining / Rigenerazioni Urbane», XXV edizione del Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate - A Gallarate, Museo Maga, via De Magri 1, sino al 17 luglio da martedì a venerdì ore 10-18.30, sabato e domenica ore 11-19, 5/3 euro, info 0331.706051/52.
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