UDIENZA PRELIMINARE
«Giustizia per nostra madre»
Torna in aula Giuseppe Piccolomo: le figlie convinte che abbia ucciso la moglie
«Ci auguriamo che l’udienza di venerdì porti a un processo contro nostro padre per omicidio volontario. Nostra madre Marisa aspetta da quattordici anni di avere giustizia. E questo è per noi l’unico e vero processo, perché da quattordici anni, da quando arrivammo in ospedale e ci dissero che nostra madre era morta, per noi non c’è alcun dubbio: lei è morta perché lui l’ha uccisa».
Tina Piccolomo parla anche a nome della sorella Cinzia, e con lei è pronta all’appuntamento di venerdì, il giorno in cui tornerà davanti a un giudice di Varese il padre delle due donne, Giuseppe Piccolomo, 66 anni, in carcere da sette anni e mezzo e condannato all’ergastolo per il “delitto delle mani mozzate” (l’omicidio della pensionata Carla Molinari avvenuto a Cocquio Trevisago il 5 novembre 2009). Piccolomo, difeso dall’avvocato Stefano Bruno, comparirà davanti al gup Anna Giorgetti per l’udienza preliminare che è conseguenza di una richiesta di rinvio a giudizio del sostituto pg di Milano Carmen Manfredda. Ma a sostenere la pubblica accusa in aula sarà la collega milanese di Manfredda, ora in pensione, Maria Grazia Omboni (il fascicolo varesino è stato avocato nel dicembre 2015).
Piccolomo rischia dunque di finire per la seconda volta davanti alla Corte d’Assise di Varese e di affrontare per la seconda volta un’accusa di omicidio volontario, aggravata dall’azione “in danno del coniuge”, dalla premeditazione, dal mezzo insidioso e dalla crudeltà (Marisa Maldera morì arsa viva nell’auto di famiglia, il 20 febbraio 2003, dopo essere stata drogata con benzodiazepina, sostiene la pubblica accusa). E a questo scopo le figlie si costituiranno parte civile con l’assistenza degli avvocati Nicodemo Gentile e Antonio Cozza. Mentre Piccolomo e il suo difensore tenteranno di evitare il processo sottolineando la mancanza di prove schiaccianti (l’uomo nel 2003 patteggiò un anno e quattro mesi per omicidio colposo, vedendo così confermata la sua tesi del rogo dell’auto come conseguenza accidentale di un banale sinistro stradale). E soprattutto tenteranno di far valere il principio giuridico del “ne bis in idem”: come detto, Piccolomo per quel fatto è già stato processato e non può esserlo una seconda volta, avendo tra l’altro ottenuto l’archiviazione di una prima ipotesi di reato che faceva proprio riferimento all’omicidio volontario.
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