Riforme
Grasso: basta messaggi cifrati, su Senato serve accordo politico
Ogni giorno che passa è perso. Politica non coinvolga istituzioni
Roma, 8 set. (askanews) - Il presidente del Senato, Pietro Grasso, resta in surplace sul tema delle riforme costituzionali.
E sull'emendabilità dell'art.2 del ddl, su cui dovrà esprimersi in termini regolamentari, preferisce non prestare il fianco alle provocazioni che gli vengono costantemente lanciate e resta fermo sulla necessità di un accordo politico preventivo sull'argomento, chiarendo: "Mi pronuncerò solo in aula". Ovvero: la politica faccia la sua parte, non riversando sulle istituzioni e su ruoli tecnici compiti che le spettano di diritto.
Alla ripresa dell'attività parlamentare sulle riforme il clima resta bollente. Oggi con la prima riunione della commissione Affari costituzionali dopo la pausa estiva, la presidente Anna Finocchiaro, pur rimarcando che non possono essere fatti passi indietro stravolgendo l'art.2 della riforma, ha concordato con la linea-Grasso, affermando la necessità di un accordo politico prima ancora che la commissione affronti l'esame degli emendamenti.
Ma il panorama politico appare ancora cristallizzato, con molti proclami ma ancora pochi, per non dire nessun incontro e momenti di confronto, a cominciare da quelli, ineludibili, in casa dem, tra la minoranza Pd e Renzi. Tanto pochi che lo stesso Grasso, al termine di una giornata effervescente e prima dell'inizio dell'assemblea dei senatori Pd sull'argomento, senza mezzi termini ha dichiarato: "Ogni giorno che passa senza un confronto vero tra le parti, a tavolino e non sui giornali, è un giorno sprecato".
In serata, intanto, i senatori Pd sono chiamati a un'assemblea a cui partecipa anche il segretario Matteo Renzi, nel tentativo di fare sintesi sulle diverse posizioni in tema di riforme. Ma la cautela regna sovrana, in uno studio reciproco delle posizioni.
Pochi si aspettano novità eclatanti e diversi senatori hanno trovato inopportuna la scelta del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, di registrare proprio questa sera, alle 19, un'intervista a "Otto e mezzo" su La 7, che inevitabilmente ha affrontato il tema delle riforme, e in cui ha dichiarato, tra l'altro: "La riforma passerà, le dimissioni del governo non sono un problema", ma anche: "Ok al dialogo ma non sull'art.2". "Un modo per dare preventivamente la linea, via agenzie di stampa, a quello che dovrebbe essere un confronto", si osserva.
Tornando a Grasso, il presidente del Senato, che aveva letto da New York con grandissima irritazione le indiscrezioni, subito smentite, di un contatto con il presidente Mattarella sul tema delle riforme, tanto da ribadire, ancora oggi "basta messaggi cifrati", ribadisce con puntigliosità la sua determinazione a non trasformarsi nel baricentro decisionale in una questione squisitamente politica. Nella piena consapevolezza che scelte apparentemente "tecniche", come l'ammissibilità o meno di emendamenti all'art.2 del ddl di riforma, o la loro limitazione a una sola sua parte, determinerebbero inevitabilmente scelte politiche dirimenti.
Là dove dovrebbe essere in corso una ricerca di mediazione ed accordo, se Grasso dovesse preventivamente escludere l'emendabilità dell'art.2, consentirebbe a Renzi di chiudere ogni confronto senza procedere a modifiche di sorta. Al contrario, se dovesse aprire alla piena emendabilità, darebbe un grosso assist a chi vuole modificare l'art.2, a cominciare dalla minoranza dem che preme per la reintroduzione dell'elettività del Senato. Una scelta che aprirebbe scenari pericolosi per lo stesso governo.
Senza contare il fatto che, in fondo, l'art.2 della riforma è solo una 'bandiera' della contestazione, il primo fronte su cui scontrarsi. Gli emendamenti presentati in commissione sull'art.2 sono infatti 2.800 mentre, giusto per esemplificare, sull'art.10, relativo al procedimento legislativo, ce ne sono ben 400mila.
In tutto questo i tempi 'remano contro', almeno a chi vuole far giungere in porto le riforme. Al Senato il voto dell'aula sul ddl deve essere espresso entro la metà di ottobre, in quanto da quel momento in avanti i lavori assembleari si sospenderanno per consentire l'apertura della sessione di bilancio. Uno 'stop' che durerà fino a gennaio dell'anno prossimo. Se un accordo politico non dovesse giungere prima di questo fermo, la partita delle riforme costituzionali verrebbe dunque rimandata di mesi. Una scadenza così vicina che potrebbe solleticare chi pensa di brandire l'arma dell'ostruzionismo proprio per allungare i tempi oltre i limiti.
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