LA VERTENZA
Intesa Italia-Svizzera: rinvio
L’accordo non è tra le priorità della squadra di Gentiloni
«La ratifica dell’accordo fiscale fra Italia e Svizzera non è all’ordine del giorno del governo». Buone notizie per i frontalieri che temevano, a breve, di entrare nel meccanismo che avrebbe inasprito le tasse nei loro confronti. L’assenza di fretta del governo italiano sulla questione è stata rivelata e ribadita più volte ieri, martedì 27 giugno, da Simona Genovese e Marco Leonardi, consiglieri di Palazzo Chigi rispettivamente per i temi della politica e dell’economia, che hanno incontrato i rappresentanti sindacali Alessandro Tarpini (Cgil), Luca Caretti (Cisl), Raimondo Pancrazio (Uil), Andrea Puglia (Ocst) e Sergio Aureli (Unia).
«Abbiamo ricevuto rassicurazioni – spiega Tarpini - sul fatto che la firma dell’accordo non è all’ordine del giorno, in quanto non ci sono le condizioni previste dalle intese, in modo particolare per la parte relativa alle forme di discriminazione».
Infatti la conditio sine qua non per la sottoscrizione da parte italiana, riguardava proprio la rimozione di qualsiasi forma ritenuta discriminatoria nei confronti dei lavoratori italiani.
Ed è vero che il Canton Ticino ha deciso di togliere l’obbligo di presentazione del casellario giudiziale in caso di firma dell’accordo ma, sul tavolo, restano comunque la questione di “Prima i nostri” e i paletti nei confronti delle imprese italiane riguardanti la Lia e gli appalti pubblici.
«Senza contare il fatto che – aggiunge Tarpini – è proprio di pochi giorni fa il lancio dell’Udc svizzera (il partito elvetico al 30% alle ultime elezioni federali, ndr), dell’iniziativa popolare per eliminare la libera circolazione delle persone con l’Unione europea». Vale a dire un provvedimento che, se passasse, sarebbe quasi sicuramente la pietra tombale su qualsiasi forma di accordo.
D’altro canto, anche se non è stato ufficialmente affermato a Palazzo Chigi, la vicinanza con le elezioni Politiche italiane, ha aiutato Roma a rimandare la decisione sull’accordo italo-svizzero. Visto che, alla peggio, si andrà a votare fra un anno, la maggioranza si guarderà bene di andare ad approvare un provvedimento che metterebbe sul piede di guerra 65.000 frontalieri e relative famiglie alla vigilia del voto e in un momento in cui il Partito democratico, vale a dire l’azionista di maggioranza del governo in carica, non gode certo di buona salute.
«In ogni caso – conclude Tarpini – i rappresentanti di Palazzo Chigi si sono detti disponibili a occuparsi della convocazione di un tavolo di discussione per affrontare le tematiche relative al lavoro frontaliere e quindi: dumping salariale, discriminazioni, diritti, protezione sociale, fisco ed economia del territorio. Giudico positivamente l’incontro, anche se restano delle questioni interlocutorie da affrontare. Di certo vi è soltanto che la ratifica dell’accordo approvato preliminarmente nel 2015 non è all’ordine del giorno del governo».
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