MIDEC
La fauna umana di Dietrich Bickler
La casa di Dietrich Bickler potrebbe essere il soggetto di un quadro di Dietrich Bickler. Gialla come i limoni di Sicilia, in cima a un motto, deliziosamente geometrica e con il fascino della sorpresa. Le passioni dell’artista vi si concentrano: la luce quasi mediterranea del salotto, la musica con dischi e libri, il vino, la visione da stampa ottocentesca del lago Maggiore non appena si scollina dall’altra parte del giardino.
A Cardana di Besozzo c’è il privato paradiso del pittore di Remiremont, Alsazia, paesino non molto distante da Molsheim dove rombavano le Bugatti e dal quale la famiglia Bickler, di sentire tedesco, si mosse dopo il disastro della guerra. Didi aveva cinque anni, scoprì l’Italia in uno dei suoi angoli più belli, Portofino, dove suo padre, titolare di una ditta di import export, che l’avrebbe voluto architetto, gli insegnò a leggere e a scrivere.
«Nella vita ho fatto poche scuole e molti lavori, a Portofino vidi dipingere Michele Cascella e De Chirico, poi la mia famiglia si trasferì a Milano - eravamo sette fratelli - e io frequentai un corso serale a Brera, allievo del professor Moro. Renato Carosone, che ai tempi studiava pittura, era mio vicino di banco. Non sono diventato architetto anche se questa casa l’ho disegnata io», spiega Bickler, 77 anni, protagonista della personale «La fauna umana» al Midec di Cerro di Laveno. Il titolo della mostra riassume un’altra delle passioni dell’artista, quella dell’osservare, quasi da etologo, le infinite tipologie di uomini e donne, i loro estremi comportamentali, gli eccessi e le curiosità, le inquietudini e le manie. Quindi di riprodurli sulla tela, dando forma a figure grottesche e in disfacimento, allegorie di vizi e distorsioni, di modi di vestire o di camminare.
«A Cerro espongo opere di anni diversi, soltanto ritratti, alcuni recenti altri che trovarono posto nel libro Gente che si racconta, che pubblicai nel 1997, corredati da piccoli racconti, ognuno dedicato al personaggio raffigurato. Cerco di far sorridere, amo l’ironia e il gusto del paradosso, e il ritratto si presta parecchio a sperimentarli».
Figure di preti, finti intellettuali e bevitori, mogli dimenticate e uomini-topo, erotomani e impotenti, prostitute e turisti inglesi, sognatori e ballerini accendono la fantasia del pittore, che ci restituisce un universo filtrato dalle maniere dell’arte, ma in fondo fin troppo reale, ché oggi la meraviglia è spesso figlia della normalità.
«Sono anche un paesaggista, più scendo a sud più mi sento ispirato, adoro il Mediterraneo, le isole Eolie, il Barocco siciliano, ma anche la Toscana che ho molto dipinto. Posso dire che l’ottanta per cento dei miei quadri di paesaggio sia frutto di invenzione, in studio rielaboro le emozioni vissute dal vero. Il lago Maggiore è la mia scatola dei sogni, quando ci passo fermarmi per un caffè a Luino è d’obbligo e mi rende felice».
E nei lavori di Bickler c’è qualcosa dell’arguzia un po’ malinconica di certi racconti di Piero Chiara e di Mario Soldati, anch’egli gran cultore di Bacco, il tempo che scorre troppo veloce per afferrarlo, il vino che può rallentarlo ma lo distorce, l’eterno desiderio di incontrare una donna fatale, forse metafora di morte. La bottiglia è un altro dei «topoi» bickleriani, nei quadri assume valore architettonico, simbolico, paesaggistico, assieme ai calici di vino è un invito alle gioie del convivio.
Un tedesco innamorato dell’Italia - «qui c’è quasi sempre un’atmosfera di vacanza, si vive con più allegria, anche se ultimamente purtroppo i visi sono più tirati e seri» - del suo vino, del paesaggio e della musica operistica, tanto da paragonarsi a Mario Cavaradossi eroe della «Tosca» pucciniana, ma senza Scarpia che morde i calcagni. Appese ai muri di casa le locandine di recite alla Scala, con gli autografi di Pavarotti e della Freni, la biografia di Carlos Kleiber forse il più straordinario direttore d’orchestra mai apparso sulle scene, segno di una profonda passione per la sensualità in musica, la stessa che emana dallo splendido ritratto della moglie Luisa in un angolo del salone.
Un intellettuale acuto come Luigi Stadera scrive: «Si dirà che quelli di Bickler sono i soliti temi, le solite tecniche; e in effetti il pittore non avverte la necessità di stravolgere la sua pittura, come fanno tanti avanguardisti. Ma soltanto un osservatore distratto o sprovveduto può non accorgersi della profonda evoluzione della sua ricerca, della progressiva semplificazione dei mezzi scelti per accostarsi alla verità». E aggiunge: «Dopo le prime opere, vecchie di trent’anni, il percorso di Bickler è passato da una densità del segno che rifletteva il rovello interiore a una solarità che rispecchia l’equilibrio raggiunto». Un equilibrio fatto di tinte perfettamente calibrate, che nel paesaggio richiamano il Carrà novecentista, e nei ritratti certe figure di Toulouse Lautrec.
E poi c’è il Bickler scrittore, autore di un romanzo, «L’ultimo ballo di Relkib» pubblicato da Albatros nel 2010, che segue le brevi narrazioni di «Gente che si racconta». Il libro ha chiari segni autobiografici, a partire dal nome del protagonista scritto al contrario, e racconta di un uomo dal passato misterioso che arriva a Belgirate, sul lago Maggiore, e vive l’incontro che ognuno di noi vorrebbe avere, quello con una donna affascinante e solare, carnale rappresentazione dell’amour fou, assoluto e ineguagliabile come le ultime sonate di Beethoven.
La scrittura asciutta e avvolgente lascia un segno profondo nel lettore. Bickler descrive, con sottile psicologia e l’ironia che gli è propria, i diversi tipi umani e le loro passioni, ben conscio che il rosso del fuoco amoroso sia atteso a fine corsa dal nero della morte, ma il destino di un uomo libero, nell’arte come nella vita, è quello di assaporarne il gusto fino in fondo, senza far sconti a sé stesso.
Vino, donne e canto, la vita e l’arte di Dietrich Bickler si sono intrecciate a questi rami fecondi come nel valzer di Johann Strauss figlio, e i frutti, colorati e succosi, sono lì a dimostrarlo.
Dietrich Bickler «La fauna umana» - Al Midec di Cerro di Laveno, fino al 24 settembre martedì 10-12.30, da mercoledì a venerdì 10-12.30 e 14.30-17.30, sabato e domenica 10-12.30 e 15-18, chiuso il giorno di Ferragosto, info 0332.625551.
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