IL DELITTO MACCHI
«Lidia, riesumazione inutile»
L’avvocato Pizzi contro il pg Manfredda: «Indagine chiusa, altro dolore per la famiglia»

«Non facciamo in modo che la riesumazione della salma di Lidia Macchi sia stata inutile. Non aggiungiamo a dolore altro dolore».
L’improvvisa - e per certi versi sorprendente - accelerazione impressa dal sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda, con l’avviso della chiusura delle indagini preliminari notificato nei giorni scorsi ai legali di Stefano Binda, in carcere dal 15 gennaio scorso con l’accusa di aver ucciso la 20enne amica di Cl, ha lasciato a dire poco sconcertati la mamma e i fratelli di Lidia.
«Dopo aver saputo della scelta della Procura Generale e aver letto le dichiarazioni dell’avvocato Sergio Martelli, non possiamo che essere molto preoccupati», fa sapere l’avvocato Daniele Pizzi, il legale della famiglia di Casbeno, che non a caso ha chiesto un incontro urgente con il sostituto pg Manfredda.
«Mi sono confrontato con la famiglia Macchi e posso dire che se c’è un momento meno indicato per mettersi a correre e a fare le cose di fretta è proprio questo in cui sono in corso accertamenti particolarmente delicati e complessi. A cominciare da quelli dei Ris di Parma e dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, incaricati dal gip del Tribunale di Varese Anna Giorgetti di individuare eventuali tracce del Dna dell’assassino su ciò che resta del cadavere riesumato della povera Lidia».
Pizzi scandisce bene le sue parole, per chiarire ulteriormente il concetto: «Abbiamo chiesto e ottenuto la riesumazione come estremo tentativo per arrivare alla verità. Per questo diciamo “ben venga” l’avviso di chiusura delle indagini, ma al tempo stesso diciamo che non vogliamo in nessun modo che si proceda al rinvio a giudizio, e dunque alla richiesta di processo, senza che siano portati a conclusione tutti gli accertamenti scientifici in corso a Parma, a Milano e al Sass Pinì. A questo proposito, presenterò una memoria formale e circostanziata alla dottoressa Manfredda con la quale la inviterò a presentarsi all’eventuale processo con tutte le risultanze degli accertamenti effettuati. D’altronde, ciò che preme alla famiglia Macchi non è tenere l’indagato in carcere a tutti i costi, ma fare tutto il possibile perché si giunga alla verità dopo 30 anni che mamma e figli aspettano di sapere quello che è successo».
Servizio completo sulla Prealpina di venerdì 11 novembre
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