«Non ho ucciso Colombo»
Occhiali da vista calcati sul naso, camicia e maglioncino blu, modi asciutti ma decisi: ieri mattina nell’aula bunker del Tribunale di Varese Emiliano Cerutti, detenuto da oltre due anni con l’accusa di aver ucciso a colpi di pistola Roberto Colombo e di averlo seppellito nei boschi di Cariola, ha risposto punto per punto alle domande del pm Giulia Troina. E ha ribadito con decisione - e a tratti pure con commozione - che no, non è stato lui ad ammazzare quello che per vent’anni era stato suo amico. Ma allora, secondo lui, chi è l’autore del delitto del disabile 49enne, avvenuto nel settembre del 2013?
«L’unica idea che mi sono fatto è che sia legato a vicende passate, quando Roberto faceva un’altra vita», ha risposto Cerutti, dinanzi alla Corte d’Assise presieduta da Anna Azzena, parlando poi dei precedenti penali che Colombo accumulò prima di rimanere coinvolto in un incidente in moto che lo segnò nel fisico. Nel corso delle scorse udienze però più testimoni hanno riferito di aver visto addosso o in casa dell’imputato una pistola, di cui non s’è trovata traccia: «Non ho mai detenuto un’arma da fuoco, né l’ho mai utilizzata - ha replicato Emiliano Cerutti -. E l’episodio in cui mi si accusa di essere andato al bar a mostrare una pistola in verità non è mai avvenuto, ritengo sia stato inventato da chi forniva la droga a Roberto».
Un’altra teste – giudicata non attendibile dalla difesa - aveva affermato di aver visto l’arma in un cassetto dell’appartamento dell’imputato, ma anche su questo l’uomo ha respinto ogni addebito: «Non so se non ricorda bene o se per qualche problema suo ha detto così - ha affermato -. Forse vide una pistola lanciadardi, una sorta di piccola balestra che in quel momento era pure smontata e che avevo in un mobiletto, ma non ero mai neppure riuscito a metterla in funzione».
Il movente del delitto, secondo gli inquirenti, era legato alla scomparsa di alcune piante di marijuana da una coltivazione che l’imputato aveva vicino alla sua abitazione di Cariola, piccola frazione di Casalzuigno dove abitava anche la vittima: «Non pensavo affatto che potesse essere stato lui a rubarmi le piantine - ha precisato Cerutti - per una serie di motivi: aveva le sue coltivazioni e non aveva bisogno di prendere le mie; poi il posto in cui si trovavano era inaccessibile per una persona nelle sue condizioni fisiche; inoltre avrebbe avuto bisogno di un luogo sicuro per farle essiccare, poiché se lo avesse fatto in casa sua l’odore sarebbe arrivato fino a me e lo avrei subito scoperto. Ma poi lui non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere».
Altro tassello dell’impianto accusatorio della Procura, il ritrovamento del piccone col manico rotto - rinvenuto sepolto vicino al cadavere di Colombo e alla carcassa del cane Argo, anch’esso ucciso e messo sottoterra -, riconosciuto da un uomo che aveva fatto alcuni interventi di manutenzione a Cariola insieme all’imputato proprio come uno degli attrezzi di proprietà di quest’ultimo: «La riparazione al manico rotto la feci io dopo che si ruppe in mano a Roberto - ha affermato Emiliano Cerutti, assistito dagli avvocati Marco Lacchin e Paolo Bossi - ma non è lo stesso piccone che usammo per lo scavo commissionato a Cariola. Questo non è il mio, anche se è sempre piuttosto vecchio, proprio come l’altro».
In quasi quattro ore di udienza, l’imputato ha ripercorso i suoi rapporti con la vittima.
«Ci sono stati momenti in cui avevamo litigato, non ci parlavamo per un po’, poi si tornava a parlare») e anche la cronologia dei giorni in cui scomparve Roberto Colombo, con il passaggio da Cariola di un moto da trial mai vista prima e di «una persona a piedi, che quando mi vide tornò indietro».
La prossima udienza è fissata per il 16 dicembre.
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